Psicologi, scienziati sociali e altri ricercatori hanno indagato la questione cercando di studiare la mente dei terroristi.
Per quale motivo i terroristi attaccano le aree civili (non militari)?
Nel libro “La medicina dei disastri di Ciottone”, in cui un capitolo è dedicato alla psicologia del terrorismo, l’autore Robert Ciottone spiega:
“I terroristi cercano di destabilizzare gli individui e le organizzazioni sociali minando le prospettive cognitive, affettive e valutative in merito agli aspetti fisici, interpersonali e socioculturali del mondo. In altre parole, i terroristi cercano di sovvertire i punti di riferimento che le persone conoscono e ai quali sono abituate, e di attribuire una importanza relativa al mondo di oggetti e luoghi, di persone e leggi, e di regole, costumi e aspettative.”
Date le differenze nelle risorse delle quali i governi dispongono contro le organizzazioniterroristiche, i target civili offrono ai terroristi un maggiore “ritorno” dall’ investimento, per così dire. Queste aree vengono scelte non tanto per una rilevanza politica o militare, ma per altre motivazioni strategiche, perchè i terroristi fanno colpo proprio dove le popolazioni si sentono più al sicuro.
Come vengono scelti gli obiettivi?
Invece che fare scelte volte a massimizzare l’impatto economico o fisico, i terroristiprendono decisioni basate su “fattori emozionali e viscerali”, secondo uno studio pubblicato a giugno nel giornale Risk Analysis.
Gli obiettivi vengono specificamente scelti non solo per incutere timore all’interno di un particolare contesto demografico ma anche per dimostrare la capacità dell’organizzazione di ottenere sostegno dai suoi seguaci.
In “La logica del terrorismo: il comportamento del terrorista come prodotto di una scelta strategica” l’autrice Martha Crenshaw spiega “l’umiliazione spettacolare del governo è una dimostrazione di forza e volontà e alimenta il morale e l’entusiasmo di adepti e simpatizzanti”
Non è possibile considerare i terroristi attori del tutto razionali, il che rende conto delle notevoli pecche nel processo di decision making e anche delle enormi difficoltà riscontrate dagli agenti della sicurezza nel fare una previsione delle “prossime mosse” .
Gli autori dello studio sull’ Analisi dei Rischi notano che “la passione come i fattori viscerali inducono l’individuo a comportarsi in modo estremamente miope e a ricercare rinforzi immediati, a dispetto di qualsivoglia effetto distruttivo”
Come si costruisce la mente del terrorista: le quattro fasi della radicalizzazione
Uno dei primi tentativi effettuati per costruire un modello esplicativo del processo di radicalizzazione, è stato condotto dalla psicologa forense Randy Borum (Borum, R. (July 2003). Understanding the terrorist mindset. FBI Law Enforcement Bulletin, 72 (7),7-10.). Il modello euristico della Borum è basato su 4 fasi del processo di radicalizzazione.
La prima fase è il riconoscimento da parte dell’individuo/gruppo “pre-radicalizzato” , che un evento o una condizione è sbagliata (“Non è così che deve essere”). Questa fase è seguita da un’inquadramento dello specifico evento/condizione come ingiusto (“Non è giusto”). La terza fase avviene quando l’ingiustizia percepita viene attribuita agli altri (“E’ colpa tua”). Il passo finale consiste nella demonizzazione dell’ “altro” (“Tu sei il male”). Se da una parte questo modello risulta essere datato è ancora un esempio dei primi tentativi di sistematizzare e comprendere I processi di radicalizzazione estremista.
Qual’é l’identikit tipico del terrorista?
A parte il fatto di essere tutti legati a una ideologia estremista, i terroristi hanno un’altra connessione di natura demografica: sono spesso giovani uomini , il che può essere giustificato dalla biologia del comportamento, secondo quanto viene esposto dal recente libro “Psicologia Evolutiva e Terrorismo” .
Numerosi studi hanno rilevato che nella prima età adulta, i giovani uomini sono maggiormente predisposti all’assunzione di rischi. I livelli di testosterone li rendono “maggiormente suscettibili all’influenza di altri uomini, solitamente più vecchi” secondo quanto afferma Jason Roach della University of Huddersfield in un discorso tenuto in occasione della pubblicazione del libro. “Questo è il motivo per cui è più facile che siano giovani uomini a offrirsi come Kamikaze, mentre gli ordini vengono impartititi dagli “anziani””
I terroristi suicidi in particolare “cercano attenzione e guida da figure di riferimento più forti” secondo lo studio sull’ Assunzione dei Rischi e desiderano ardentemente l’attenzione (che poi ottengono) per le azioni violente che commettono.
È difficile stabilire quali siano le radici psicologiche degli atti terroristici. Il pensiero degli estremisti è “rigido, primitivo e poco sofisticato” e il loro stato emotivo può essere descritto come “fanaticamente colmo di delusione, frustrazione, paura, disgusto, rabbia e odio” così come esposto in un articolo del 2007 pubblicato nel giornale dei Comportamenti Violenti e Aggressivi.
L’autore citò svariati fattori alla base di questi stati cognitivo – psicologici, passando dal basso livello di educazione caratterizzato da un metodo prettamente mnemonico, a una vita personale segnata da fallimenti (nell’ottenimento di un lavoro, di una vita coniugale o di una capacità di adattamento alla modernità, etc..), fino al senso di insoddisfazione generale legato a una combinazione di fattori “sociali, economici, politici, culturali o religiosi”.
Nessuno studio sull’assetto mentale dei terroristi potrà mai spiegare il loro comportamento. Ma cercare di avere una comprensione delle dinamiche psicologiche e cognitive che li caratterizzano può essere d’aiuto come ogni azione volta a promuovere una maggiore sicurezza e protezione dei cittadini.
Scritto da Istituto Watson on 19 novembre 2015