“come la superficie dell’oceano si increspa quando soffia il vento, così anche la mente tende ad agitarsi e a divenire reattiva in presenza di turbolenze esterne. Ma se scendi quattro o cinque metri sotto la superficie del mare trovi solo un lievissimo movimento: a quella profondità l’acqua è calma anche quando la superficie è tempestosa. Lo stesso accade quando riusciamo a sviluppare una mente saggia: vivere e sentire consapevolmente gli stati mentali (emozioni, sentimenti, sensazioni somatiche, pensieri) senza commentarli né valutarli, ma accettandoli e vivendoli nel qui e ora, sottostante all’agitazione della mente pensante e intrinsecamente più’ calma…” (Kabat-Zinn, 1990)
La maggior parte della psicopatologia è caratterizzata da una qualche intolleranza verso aspetti dell’esperienza interna o da qualche modalità di evitamento finalizzata a fuggire dall’esperienza interna. Gli interventi terapeutici più efficaci tendono ad indebolire in qualche modo gli aspetti di evitamento aiutando il paziente ad esporsi a vari aspetti temuti dell’esperienza interna, vuoi da un punto di vista comportamentale vuoi incoraggiandolo a entrare più in contatto con emozioni di paura, dolore o rabbia.
Quando i nostri pensieri sono rivolti al futuro definiamo questa strategia rimuginio, una forma di “pensiero di tipo verbale e astratto, privo di dettagli e seguito, in molti casi dalla focalizzazione visiva di immagini relative ai possibili scenari individuati come pericolosi. Chi rimugina ha paura e teme sempre possa avverarsi il peggio, non riesce a valutare possibili alternative per gestire la situazione temuta e pensa che il rimuginare possa portare alla soluzione del problema. Alla lunga, chi rimugina si percepisce debole, fragile, insicuro, spaventato e costantemente soggiogato dalla pericolosità del futuro, di conseguenza il rimuginio si cronicizza e diventa disfunzionale e maladattivo” (Clark, & Beck, 2010).
Quando invece rivolgiamo le nostre energie al passato si parla di ruminazione, “una forma circolare di pensiero persistente, passivo, ripetitivo legato ai sintomi della depressione (Nolen-Hoeksema, 1991). Tale forma di pensiero è rivolto al passato ed è legato alla perdita di qualcosa di importante. I pensieri ruminativi diventano la causa della comparsa della depressione, del suo mantenimento e aggravamento (Broderick, & Korteland, 2004).
Pertanto è il pensiero che agisce…per disciplinare la delicata materia che è la vita e fa in modo che, quell’impasto di genialità o stupidità, nella commedia umana, rafforzi o deprime l’andare…tra successi o fallimenti.
Il pensiero tenta di disciplinare la materia, la vita, muove dentro un sentire fuori controllo, dandoci l’illusione che un controllo ci sia, sia necessario, e nel farlo oscura l’unica cosa che possiamo realmente gestire, l’andare. Ahimè! Per via del pensiero e del linguaggio, a fronte di grandi opportunità, viviamo spesso limiti e difficoltà. Una di queste, per esempio, si presenta quando entriamo a contatto con esperienze difficili o dolorose: un lutto, una delusione, una sensazione intensa, un pensiero negativo. La nostra mente gestisce queste esperienze come qualcosa da cui fuggire, con cui lottare, da capire e risolvere come fosse un problema fondamentale per la nostra sopravvivenza. Ecco quindi che attiviamo numerose strategie di evitamento, rimuginazione, e problem solving verbale, nel tentativo di modificare la forma e l’impatto che ognuna di quelle esperienze hanno sul nostro benessere. Quando agiamo queste strategie, purtroppo, otteniamo l’effetto opposto, amplifichiamo il dolore e la sofferenza. Non possiamo impedire agli eventi di provocarci dolore e sofferenza, ma possiamo piuttosto scegliere quale atteggiamento avere con queste esperienze, con queste sensazioni. E’ proprio nel momento in cui abbandoniamo la lotta verso ognuno di questi elementi, di queste sensazioni, che la loro mossa cessa, permettendoci di agire più in funzione di ciò che realmente conta che in funzione delle nostre sensazioni!