Questa raccolta è pensata per essere periodicamente ampliata e aggiornata, in modo da tracciare una panoramica sullo stato attuale, ma anche sull’evoluzione e il futuro della psicologia. Pertanto il risultato finale di questo articolo è una raccolta di post già pubblicati sull’omonimo social network: Facebook, dai più recenti ai più popolari e rilevanti, in modo da mettere in evidenza i vari argomenti trattati durante il mio percorso professionale.
Prima la pandemia oggi la guerra, è senza dubbio un periodo che ci sta mettendo tutti a dura prova e da un mese all’altro ci siamo ritrovati ad affrontare nuove paure, accompagnate da pensieri e preoccupazioni. Travolti da questa nuova ondata di incertezza, pieni di domande e dubbi, spesso la nostra mente vaga tra i ricordi del passato e le previsioni catastrofiche del futuro, ed è del tutto normale che accada, anche se la maggior parte delle volte produce dolore e sofferenza. Crediamo e tentiamo in ogni modo di arrestare questo processo, di combattere i pensieri o arrestarli, ma questo produce l’effetto opposto: i pensieri aumentano, le nostre scelte si orientano al solo tentativo di fuggire da dolore e sofferenza. A tutto ciò abbiamo un’alternativa importante ed efficace. Possiamo scegliere di rinunciare al controllo verso questo atteggiamento della nostra mente, rinunciare a farci domande o discutere con i contenuti dei nostri pensieri. Possiamo scegliere di entrare pienamente in contatto con il momento presente e lasciare che la nostra esperienza interna (pensieri, emozioni e sensazioni) scorra come meglio crede e vivere il momento presente. Questo è il modo più efficace per evitare che il dolore ci travolga. Si tratta di coltivare la curiosità e la disponibilità verso tutto ciò che il momento presente contiene. Proviamo per un attimo a guardarci intorno e notare alcuni odori, alcuni colori, alcune forme e suoni, un gusto e una sensazione e soprattutto notare il nostro respiro. Ognuno di questi elementi può accadere solo in questo momento. Quando lo avrete rintracciato, concedete ad ogni sensazione, odore, colore e forma il diritto di esistere ed essere esattamente come vi appare, e mentre lo fate agite facendo ciò che serve, ciò che è utile e necessario in quel momento. Esserci completamente dipende da come agiamo e non da come sentiamo e di concedere la nostra presenza fisica e le nostre scelte alle persone e alle circostanze che ci circondano, anche se dentro di noi facciamo esperienza di qualcosa che vorremmo non avere e non sentire.
Noi siamo il mare, non le onde, siamo il cielo, non le nuvole, siamo il fiume, non ciò che vi scorre dentro. Trascorriamo gran parte del nostro tempo alla ricerca di qualcosa da provare, di qualcuno cui somigliare o di un futuro più facile da gestire. Alcune volte è difficile farlo, altre volte impossibile, e questo crea dolore, sofferenza. Proviamo a fare qualcosa nel tentativo di non soffrire, di sbarazzarci di ciò che vorremmo non provare, e finiamo per generare ulteriore dolore e sofferenza. La persona che sta lottando e che prova queste sensazioni e sceglie cosa farne quando si presentano siamo noi. Quella persona è la parte più preziosa della nostra vita, mai nessun pensiero potrà dire chi siamo, mai nessun pensiero potrà definirci realmente per come siamo. Siamo molto più dei nostri pensieri, molto più delle nostre sensazioni, anche quando esse sembrano schiacciarci, anche in quell’occasione noi siamo più grandi di loro. La persona più importante per cui valga la pena fare qualcosa sei tu, anche se questo dovesse essere difficile, ne sarà valsa la pena. Tu sei già tutto ciò che serve per vivere una vita meravigliosa anche con i tuoi pensieri e le tue sensazioni.
Uno degli atteggiamenti mentali più comuni, causa di disagio e sofferenza è detto “dominanza di passato e futuro”, ossia la tendenza della nostra mente ad indugiare sulle dimensioni del tempo in cui non siamo fisicamente presenti, tentando di gestire le circostanze ritenute pericolose e rilevanti rispetto ai propri scopi ed ai propri bisogni. Un esempio molto esaustivo potrebbe aiutarci a comprendere meglio questo atteggiamento: immaginate di trovarvi ad un bivio della propria vita in cui siete chiamati a prendere una scelta importante, di quelle scelte in cui ognuna delle opzioni rappresenta un’alternativa valida. Dopo aver agito è probabile che la vostra scelta non si riveli quella giusta, e questo determinerà probabilmente un senso di rimpianto e rimorso. Quando rimpiangiamo delle scelte del passato stiamo adoperando il nostro pensiero nel tentativo di esercitare una forma di controllo sulle scelte agite in passato, cercando di ridurre lo stato di sofferenza che le nostre scelte hanno determinato nel momento presente. Quando indugiamo sul passato, non stiamo gestendo circostanze realmente presenti, stiamo piuttosto gestendo l’idea, il pensiero di quelle circostanze. Questo atteggiamento provoca un vissuto emotivo ancora più intenso della realtà dalla quale tentiamo di fuggire, innesca ulteriori processi che mantengono, o addirittura peggiorano, lo stato di malessere. “Sono un fallito”; “Non ho mai combinato nulla di buono”; “Avrei dovuto prestare più attenzione”;”Avrei dovuto capirlo”; Ognuna di queste frasi, verso le quali assumiamo uno stato di FUSIONE COGNITIVA, hanno il potere di innescare un ampio vissuto di emozioni negative che limitano il nostro agire, il nostro vivere. “L’UNICO MODO IN CUI AVREMMO POTUTO AGIRE, E’ IL MODO IN CUI ABBIAMO SCELTO DI FARLO”. Il passato è presente nei nostri pensieri sotto forma di ricordi ed immagini, la nostra mente crede di poter esercitare un controllo sul passato rimuginando su ricordi, rivivendoli di continuo quasi fossero il nastro di una videocassetta che avvolgiamo e riguardiamo nel tentativo di scorgere particolari utili a sedare i nostri rimpianti, a trovare una spiegazione plausibile alle nostre scelte, ai nostri errori. A volte, dopo estenuanti tentativi, riusciamo a ridurre le emozioni che creano disagio, altre volte questa strategia rende ancora più intense le emozioni e genera ulteriori disagi. Cosa fare ? Sarebbe bello suggerire di “non pensare al passato ma pensare al presente”. Lo facciamo tutti i giorni ma falliamo quasi sempre. Le moderne neuroscienze hanno dimostrato che quando proviamo a non fare qualcosa, come per esempio non pensare ad un pensiero, dobbiamo compiere un esercizio che implica il pensare qualcosa per poi non pensarvi più. I pensieri non possono essere spenti come si fa con l’interruttore di una lampada. La nostra mente non accetta facilmente tale circostanza e lotta quotidianamente nel tentativo di eliminare pensieri, ricordi, e di gestire circostanze ormai non più gestibili come il passato. Lasciare andare il passato. La strategia che l’approccio cognitivo comportamentale di 3° generazione offre, rispetto a questo atteggiamento, non consiste nella possibilità di distrarsi da un pensiero, o eliminarlo dalla nostra mente, quanto piuttosto di aprirsi alla consapevolezza che il passato non è più nel nostro controllo, che possiamo comunque agire in direzione dei nostri valori mentre nella nostra mente si affollano pensieri che vorremmo non avere. Il problema non è “come fare a non pensare a qualcosa” quanto piuttosto in che modo dare valore ai nostri scopi ed obiettivi mentre nella nostra mente sono presenti pensieri che non possiamo eliminare. La flessibilità psicologica è l’espressione di questo atteggiamento, indica appunto la capacità di essere presenti agendo in concreto in direzione dei nostri scopi e finalità, piuttosto che impegnarsi in attività e strategie che hanno un impatto significativo sulle nostre attività, e quindi sul nostro benessere.
La nostra mente è come una macchina del tempo, o almeno crede di esserlo. Attraverso i pensieri e le immagini mentali, infatti, ci accompagna indietro nel tempo, tra ricordi ed esperienze del passato, alla ricerca di tutto ciò che potrebbe essere stato un errore o qualcosa che ha messo o potrebbe mettere a rischio il nostro benessere o quello delle persone a cui teniamo. Quando questo processo di elaborazione e richiamo continuo alla memoria di ricordi autobiografici dolorosi è caratterizzato da pensieri stereotipati e negativi, abbiamo emozioni ed esperienze soggettive caratterizzate da senso di colpa, rabbia, paura e frustrazione. Sono tutte emozioni che proviamo in risposta a qualcosa che non è andata come avremmo voluto, soprattutto quando il suo esito è dipeso da nostre scelte e atteggiamenti. Ecco quindi che la nostra mente, prova a dare un senso alle nostre azioni, per ricevere rassicurazione o giustificazioni. Queste rappresentazioni e credenze centrali sono difficili da relativizzare perché talvolta non siamo in grado di prendere una distanza critica, un punto di vista diverso da cui osservare ciò che abbiamo pensato, ricordato o sentito, e capire che il nostro pensiero non rispecchia la realtà, ma è un prodotto della nostra mente. Così facendo, anche se il fatto stesso di provarci ci restituisce un senso di parziale sollievo, ci pone talvolta in una condizione di ulteriore sofferenza e dolore. E’ piuttosto utile rinunciare ad ogni tentativo di esercitare controllo sugli stati mentali interni presenti e passati, o di modificare e piegare la realtà in cui viviamo. Per esempio la persona che ha preso quelle scelte, la nostra versione del passato, ha agito alla luce delle informazioni che aveva a disposizione, delle sue sensazioni e di tutto ciò che in quel momento era presente nell’ambiente circostante e nel proprio mondo interiore. Oggi conosciamo l’esito delle nostre scelte e questo guida il nostro tentativo di correggere quello che riteniamo un errore, in realtà si tratta di ciò che di buono abbiamo tentato di fare, seppur di quella scelta oggi rimane il dolore o la sofferenza. Concediamo anche a queste sensazioni il diritto di esistere, ma non quello di scegliere per noi come proseguire. L’unica cosa che oggi possiamo fare è tentare di scrivere il finale e uno scenario alternativo a quello che in passato ha generato dolore e sofferenza, cercando di capire i nessi psicologici di causa ed effetto tra idee, emozioni e comportamenti per favorire la formazione di rappresentazioni più ricche e articolate su sé stessi e sugli altri nel momento presente e nel contesto in cui oggi viviamo.
Il tempo è una variabile di cui facciamo costantemente esperienza nel corso della nostra vita, esso scorre fuori dal nostro controllo e noi, guidati dalle nostre menti, soffriamo nel tentativo di rallentarlo o di farne un’esperienza il più soddisfacente possibile…
Il tempo è un insieme continuo e ricorsivo di attimi, il sole sorge e tramonta e nuovamente torna a sorgere e tramontare. Le nostre giornate iniziano e si svolgono a contatto con esperienze diverse durante le quali entriamo in contatto con emozioni, pensieri, sensazioni che sorgono e tramontano come il sole. Se consideriamo lo scorrere del tempo potremmo notare che sia il sole che le emozioni avvengono nell’arco di un momento che è destinato comunque a passare, cessare, per poi trasformarsi in altro. Anche quando viviamo profonde sofferenze, nelle nostre vite, abbiamo comunque a che fare con un momento, più o meno lungo, che è destinato a cessare.
Possiamo comunque fare la differenza, la facciamo scegliendo come vivere ogni singolo momento e non concentrandosi su ciò che esso contiene. Possiamo scegliere di vivere le nostre vite in funzione della qualità dei nostri pensieri o delle nostre sensazioni oppure possiamo farlo in funzione di ciò che conta per noi veramente… Possiamo dare valore al tempo agendo in direzione dei nostri valori e dei nostri desideri in ogni istante, perché l’unico momento in cui possiamo farlo è il qui e ora, e il presente è l’unico momento che esiste realmente.
“L’uomo è l’unico animale per cui la sua stessa esistenza è un problema” Eric Fromm. In altre parole ci adoperiamo mentalmente ponendoci domande, cercando risposte e rassicurazioni al solo fine di ridurre la sofferenza emotiva. Da questo atteggiamento abbiamo sviluppato la convinzione che una vita felice sia una vita in cui non si fa esperienza di emozioni intense, “negative”, in cui le sensazioni siano sempre lievi e tollerabili, e non debbano interferire in alcun modo con le nostre azioni. Il genere umano ha sviluppato la convinzione che sia “sbagliato” provare alcune emozioni, pertanto si adopera con tutte le sue risorse per contrastarle, perché le emozioni intense provocano disagio e sofferenza e il nostro cervello le tratta quindi alla stregua di qualcosa da evitare e da contrastare. Tuttavia l’unico aspetto sul quale possiamo esercitare un controllo reale ed efficace sono le nostre azioni, le nostre scelte, i nostri comportamenti. Provate a svolgere questo breve esercizio. Mettetevi seduti sulla sedia e ripetete in mente: “io non voglio alzarmi, io non voglio alzarmi, io non voglio alzarmi”. Mentre ripetete questa frase ALZATEVI dalla sedia. Inizialmente proverete forse un po di resistenza, ma nulla che possa impedirvi di agire come avete scelto. La cosa più importante è SCEGLIERE di farlo, consapevoli che non per forza deve essere semplice, ma se ci permette di avvicinarci ai nostri obiettivi, forse vale la pena provare, anche se difficile (ma non impossibile).
E’ più facile crescere bambini forti che riparare adulti danneggiati, ma è altrettanto vero che adulti inquieti, spaventati, ansiosi, depressi ed emotivamente instabili non possono crescere bambini forti. Un genitore imprevedibile nelle risposte che oscilla fra iperprotettività, intrusività e mancata risposta alle richieste del bambino, costretto a crescere in una condizione di instabilità, tende a percepire gli altri come incontrollabili, imprevedibili, invadenti o inadeguati a percepire le richieste di cura. Questi bambini che man mano diventano adulti, possono essere estremamente insicuri e spaventati nell’esplorazione del mondo, percepito come un posto pericoloso e incontrollabile, con il timore che il legame con l’altro si ritorca in una perdita di libertà-autonomia personale.
Guidati dalla regola “devo essere felice”, intraprendiamo una lotta con tutto quello che “crediamo” ce lo impedisce: emozioni, sensazioni, pensieri, ricordi. Talvolta il bersaglio della nostra lotta non è un problema reale, quanto l’Idea di un problema (il pensiero “non sono felice”). La nostra mente reagisce spesso ai pensieri nella nostra testa allo stesso modo in cui gestisce i problemi reali. Essere felici non è uno stato emotivo come spesso crediamo, la felicità non si può fermare in un dato momento e percepirla quasi fosse una sensazione di calore diffuso o la frenesia di un momento di gioia. Lo stato più concreto di felicità di cui disponiamo è rappresentato da un Processo, l’insieme quindi delle nostre scelte, degli atteggiamenti, delle delusioni e dei traguardi che segnano una direzione verso i valori più importanti che rendono la nostra vita ricca e significativa. Ad esempio felice è quella persona che dopo una giornata di lavoro, nonostante la stanchezza è soddisfatta di aver contribuito, con il proprio sforzo, al sostentamento della propria famiglia. Sono questi i momenti in cui entriamo realmente in contatto con i nostri valori. Spesso non è accompagnato da emozioni eccitanti, piuttosto da uno stato di soddisfazione, che conferma in modo sottile.. la nostra direzione del nostro agire. La felicità è quindi il Processo dell’essere Felici, mosso da azioni e comportamenti che ci guidano nel dar valore a quanto dì più importante c’è nella nostra vita.
Le persone trovano difficoltà nel lasciare andare la propria sofferenza. A causa della paura dell’ignoto, preferiscono la familiarità del dolore. Tuttavia, talvolta non è solamente la paura dell’ignoto a trattenerci in situazioni dolorose, quanto piuttosto l’illusoria visione che tutto magicamente cambierà o comunque la paura del vuoto e della solitudine che molti non sono disposti a vivere (ciò dipende anche dai significati che attribuiscono alla solitudine, dalle esperienze pregresse e dalle risorse personali e della sfera familiare e sociale attorno alla persona). Sicuramente è importante notare quando un nostro comportamento (qualunque sia) ha più una funzione VIA DA (ciò che si presenta nella nostra esperienza interiore) e quando ha la funzione di movimento VERSO (chi e cosa è importante per noi). Questa consapevolezza rende più liberi.
Ogni istante, in ogni luogo, facciamo esperienza di pensieri e sensazioni che ci allarmano e condizionano le nostre scelte. I pensieri sono il risultato di un lunghissimo processo di evoluzione grazie al quale abbiamo acquisito, e tramandato, la capacità di gestire i problemi prima ancora che essi si siano presentati, con l’obiettivo di comprendere al meglio sé stessi e il rapporto con gli altri e con l’ambiente circostante. Tuttavia, talvolta gestire l’idea del problema non produce soluzioni concrete, ma solo scenari difficili da gestire o fronteggiare, non perché non né siamo all’altezza, ma perché quegli scenari esistono solo nella nostra mente e non possono essere controllati a nostro piacimento. Quando questo accade, il pericolo che ha guidato le nostre azioni è presente soltanto nella nostra mente, solo nei nostri pensieri, frutto di una rappresentazione arbitraria, distorta della realtà. Questo surrogato della realtà, correlato ad un ampio repertorio di emozioni e sensazioni, diviene pericoloso in seguito al rapporto che assumiamo nei loro confronti. In questo stato, infatti, difficilmente riusciamo a percepire la reale distanza che esiste tra la realtà oggettiva e quella descritta dai nostri pensieri. Come quando la nostra mente sembra avere la “presunzione” di poter prevedere il futuro e informarci su come andranno le cose nella nostra vita. Nel farlo, amplifica i pericoli e ne evidenzia gli aspetti più negativi e le circostanze più difficili da gestire, determinando dolore e sofferenza, ancor prima del verificarsi degli eventi. Quando un pericolo, un giudizio negativo, una sensazione, esistono soltanto nella nostra mente, quando solo noi possiamo notarli ed all’esterno le circostanze non sono collegate “concretamente” al contenuto di quei pensieri, allora non stiamo gestendo un problema bensì “l’idea di un problema”. Siamo sempre noi a scegliere quale rapporto avere con i nostri pensieri di qualunque contenuto essi siano, senza che questi debbano necessariamente condizionare le nostre scelte, grazie alla capacità di agire in modo coerente ai propri obiettivi e valori, nonostante dentro di noi vi siano pensieri terribilizzanti di autosvalutazione, ostilità e “doverizzazioni” che rendono difficile il nostro agire.
La mappa non è il territorio. Quando faccio esperienza del territorio e aggiungo “profondità”, tridimensionalità e complessità, posso vedere le cose da un punto di vista diverso e usare le mappe in modo più funzionale e connesso al presente che sto vivendo. La capacità di riflettere sulle proprie rappresentazioni e mappe mentali, ci permette di differenziare tra il mondo interno delle rappresentazioni e il mondo della realtà esterna, così da poter distinguere la realtà dalla fantasia e sviluppare una distanza critica dalle proprie credenze, opinioni, ricordi, ipotesi, ammettendo la possibilità che possano rivelarsi false o maladattive e disfunzionali.
Con la psicoterapia impariamo a distinguere tra fatti reali e fatti mentali. Se il nostro pensiero rimane impantanato tra significati simbolici distorti, ragionamenti illogici e interpretazioni erronee, la terapia cognitivo comportamentale mira ad alleviare la tensione psicologica attraverso la correzione di questi concetti e rappresentazioni mentali patogene e disfunzionali. Correggendo i concetti erronei, possiamo eliminare le reazioni emotive e comportamentali eccessive e maladattive. La più grande scoperta è che gli esseri umani possono cambiare le loro vite cambiando le loro abitudini mentali. William James
I Narcisisti sono intossicati dalla loro stessa rabbia; rimangono isolati dal loro stesso disprezzo. Tali emozioni generano sofferenza in chi sta loro attorno. A vederla con Kohut, però, sarebbero reazioni protettive, difensive, una protesta verso qualcosa che era giusto ricevessero ed è stato loro negato: attenzione, ammirazione, occhi che irraggiavano amore. La rabbia come reazione alla ferita. Un richiedere sbattendo i piedi ciò che un tempo li avrebbe nutriti davvero. E allo stesso tempo sono forme di avversione. Un rifiuto verso quanto di immangiabile, ambiente e famiglia hanno somministrato loro: astio, nervosismo, malattia, tensione, angoscia e critica. I narcisisti rovinano la loro vita – e creano un grado non indifferente di problemi a chi decide di gravitare loro attorno – perché continuano a reagire come se quello che non hanno ricevuto continuasse ad essere loro negato. Vedono il presente con le lenti del passato. Non riconoscono nel partner, amici e colleghi le fattezze di genitori innamorati e adoranti. Si vedono circondati da persone ostili, indifferenti. E a queste reagiscono. Giancarlo Dimaggio in “Il diavolo prenda l’ultimo. La fuga del narcisista”.
In ambito gerontologico lo psicologo si occupa di «fatti mentali» che possono concretizzarsi nelle funzioni e nelle capacità cognitive dell’individuo, oppure nei suoi vissuti, modelli relazionali e risposte comportamentali. Qualunque sia il fenomeno osservato, occorre predisporre strumenti di valutazione, descrizione, analisi e programmazione degli interventi per favorire il benessere e la salute della persona. Lo psicologo non è una figura presente in tutte le RSA e per questo motivo diventa sicuramente un valore aggiunto per la struttura che lo mette a disposizione, per l’importanza che ricopre nel garantire il supporto agli ospiti, ai loro familiari e ai caregiver e promuovere in questo modo il benessere psicofisico degli ospiti operando attraverso un modello di cura bio-psico-sociale centrato sulla persona.
L’amore per sé stessi. Siamo circondati da frasi motivazionali del tipo: “impara ad amarti”, “prova ad amarti di più”, e chi più ne ha più ne metta. I social ne sono pieni e questa realtà, inconsapevolmente, costruisce le nostre prigioni, i nostri limiti, riduce la nostra reale capacità di agire quell’atteggiamento di gentilezza e affetto che in tante salse ci viene proposto. Amarsi, volersi bene, è qualcosa che realmente posiamo riuscire a fare nelle nostre vite, a patto che non sia legato all’aspettativa irrealistica di sbarazzarci del dolore. Volersi bene vuol dire osservare il nostro dolore, le nostre ferite con gentilezza, concedere alla nostra sofferenza il diritto di esistere esattamente come si presenta e nei momenti in cui possiamo farne esperienza, rinunciando ad ogni tentativo di lotta o giudizio, ad ogni forma di critica o svalutazione verso la parte di noi che vorremmo cancellare. Volersi bene è lasciare che la nostra vita, il nostro passato, le nostre sensazioni e paura siano esattamente come sono, parlando a noi stessi come parleremmo ad una persona che amiamo e non al nostro peggior nemico. Parlare a noi stessi cercando di consolare, con un abbraccio o una parola dolce, la piccola parte di noi che soffre e dicendole, “non sei sola”. Amare se stessi vuol dire notare il dolore e stare con esso, quando questo non è nel nostro controllo e quando ogni altro tentativo di sbarazzarcene, in passato, ha fallito miseramente. Provare a coltivare un po’ di gentilezza verso il nostro dolore, non estirperà la sofferenza, ma in questo modo potremmo scoprire che andiamo già bene cosi.
Giudizi e critiche. Una delle cose che la nostra mente sa fare meglio di altre è criticare se stessa, criticare i propri atteggiamenti, le proprie scelte, il proprio passato. Anche questo atteggiamento ha una funzione specifica e non rappresenta necessariamente qualcosa di patologico, quando non diventa pervasivo e invalidante. E’ il tentativo della mente di adeguare il nostro repertorio di comportamenti e atteggiamenti ad un insieme di valori che spesso assume in modo troppo rigido. Qualora la nostra mente giudica poco vantaggiosi alcuni tratti del nostro carattere, criticandoli e svalutandoli, sta agendo un tentativo di cambiarli al fine di non perdere la stima o il valore personale. Tuttavia questa modalità di funzionamento psicologico diventa patogena, nel caso in cui questi tentativi producono una sofferenza maggiore di quella iniziale e si inizia a credere fermamente in maniera stabile e ricorrente a queste definizioni di sé, rappresentando sé stessi come inamabili, inadeguati, difettosi, immeritevoli, di scarso valore, colpevoli ecc. e quindi producendo un effetto opposto a quello voluto: inducono tristezza, sofferenza, vergogna, ansia, alienazione ecc. Non è semplice interrompere questo flusso di critiche ed etichette che la nostra mente è solita apporre alle nostre esperienze. Ma possiamo scegliere cosa farne quando si presentano, possiamo lasciare che “il pensiero di una critica” esista nella nostra mente trattandolo per quello che è, un pensiero. Possiamo concederci il diritto di essere vulnerabili, fragili, di poter commettere errori o di non essere all’altezza in certe situazioni. Possiamo permetterci il diritto di soffrire per le cose che accadono, per gli errori del passato, per alcuni momenti non proprio piacevoli. Possiamo fare tutto questo, siamo molto più del nostro dolore, delle nostre critiche, continuando ad agire e scegliere in funzione di quello che realmente è importante per noi adesso.
Accettazione. Di solito alla base del disagio psicologico si colloca un atteggiamento comune a tutti gli esseri umani, il tentativo di evitare o ridurre qualsiasi forma di sofferenza interna, ritenendola il segno di una vita infelice! Quando le persone sperimentano certe emozioni “negative” (paura, ansia, tristezza) o sensazioni molto intense (giramento di testa, tachicardia, peso allo stomaco), quando pensano a sé stessi in modo critico o anticipando “ipotetici” pericoli, si sforzano spesso di ridurre o eliminare tali esperienze, credendo che tale atteggiamento o strategia di evitamento sia l’unico modo possibile per generare uno stato di benessere o di “felicità”. Paradossalmente, il disagio emerge più intenso e prolungato nel tempo proprio a seguito di questo atteggiamento di lotta ed evitamento dell’esperienza interna. Questo tipo di atteggiamento, oltre a produrre dolore e sofferenza, determina ulteriormente il restringimento del proprio repertorio comportamentale: accade quindi che si riducono le opportunità di partecipazione attiva ai contesti significativi (lavoro, famiglia, relazioni, tempo libero) con un impatto rilevante sulla qualità dell’ umore, quindi sul benessere personale. Puoi scegliere di fare altro dal continuare a lottare, evitare, controllare qualsiasi cosa provi dentro di te, concentrandoti piuttosto ad agire in modo coerente con i tuoi obiettivi, anche se, mentre lo fai, dentro non ti senti come vorresti. La possibilità di accettare, aprirsi, a tutto ciò che è fuori dal nostro controllo, impegnandosi attivamente, con attività concrete, in ognuna delle circostanza in cui siamo coinvolti può contribuire, se gestite al meglio, a rendere la nostra vita ricca e significativa… ricordando sempre e comunque che TU sei molto più, molto più importante di tutto questo.
Luis Enrique un uomo prestato al calcio. In questa serata epica, un uomo che dopo la scomparsa della sua bimba ha saputo riprendere la propria vita in mano, ritornando più forte di prima. L’allenatore della Spagna, dopo aver perso la figlia di 9 anni, parla di calcio e della bellezza di una partita da sconfitto. Complimenti ad un grande mister e uomo, Luis Enrique.“Felice per quello che ho visto, due squadre di altissimo livello. Uno spettacolo per i tifosi, spero che nella finale l’Italia possa fare una grande partita. Nessun rimpianto, ognuno fa il massimo. Partita con intensità bestiale. Due macchine una di fronte all’altra, una delle migliori partite che si sono viste in questo Europeo. Ho visto Chiellini e Bonucci con Lukaku e ho pensato fosse meglio togliere un riferimento e dare un uomo in più a centrocampo. Tiferò Italia, non è bello per gli inglesi, ma tiferò Italia”. (Luis Enrique, un grande, un Uomo).
Vivi il momento presente.. Quanti di noi hanno sentito pronunciare questa frase? Quanti di voi sono stati invitati a cambiare atteggiamento verso la vita, magari dedicando le proprie energie ed attenzione al momento presente? e sinceramente il più delle volte sia nella mia vita professionale che personale, ho avuto notevoli difficoltà su come si potesse fare…Il momento presente è qualcosa le cui sfumature possono essere estremamente complesse e articolate oppure accessibili e praticabili con facilità in ogni momento. Il momento presente è espressione delle tre principali coordinate in cui esso può essere esperito: Io – Qui – Ora.Esiste sempre un Io (la persona) che può fare esperienza di qualcosa (pensieri, emozioni, sensazioni, ricordi, suoni, odori, dolore, colori) in un Qui (Là, dietro, avanti, sopra, sotto, dentro, fuori) nell’unico momento in cui esso si realizza, Ora, Adesso. Quindi, il momento presente è quella dimensione del vivere che può essere notata solo nel momento in cui essa accade, e verso cui possiamo scegliere di assumere un duplice rapporto: la fuga o la presenza. Quando siamo in fuga dal nostro momento presente è come se, notando qualcosa che non ci piace, che ci fa stare male, facessimo qualcosa, qualsiasi cosa riteniamo utile a far cessare quell’esperienza spiacevole: Farci mille domande (perchè? perchè ancora? cosa vuol dire?) e soffrire delle risposte spesso negative che la nostra mente ci suggerisce in modo convincente; Fuggire, evitare luoghi, persone, circostanze; Anestetizzare le sensazioni (assumendo droghe, alcol, vomitando o tentando di distrarci); Cercando la compagnia di qualcuno o qualcosa;In questo caso abbiamo adottato strategie di evitamento, di controllo o lotta nei confronti di qualcosa che potevamo percepire come pericolose e terrificanti attraverso i nostri sensi. Stare, nel momento presente, vuol dire invece rinunciare alla lotta, al controllo, all’evitamento, nei confronti del dispiegarsi continuo e mutevole dell’esperienza, sia essa interna che esterna, aprendoci piuttosto che fuggire, facendo spazio a qualsiasi cosa la nostra mente possa raccontarci, farci provare o sentire mentre lo facciamo. Questa strada è spesso l’unica e fondamentale soluzione alla possibilità di vivere una vita dignitosa e piena di significato.Quando infatti fuggiamo dalle esperienze spiacevoli, anche se per un breve istante riusciamo a ridurre alcune sensazioni o emozioni, nel lungo termine abbiamo contribuito ad un progressivo impoverimento della nostra vita rispetto ai valori ed agli scopi che percepiamo importanti. In realtà, nel tentativo di fuggire da emozioni, pensieri e sensazioni, fuggiamo soprattutto dalla vita.La vita, piuttosto, con tutte le sue sfaccettature, con tutta l’intera gamma delle emozioni e delle sensazioni, con il dolore e la gioia, la sofferenza e la serenità, si trova proprio nel momento presente. Solo nel momento presente possiamo fare esperienza di cosa realmente è la vita, non dev’essere facile, ciò che conta è che sia importante per noi.
Con l’emergenza Coronavirus sono aumentate a dismisura le forme di disagio e sofferenza emotiva della popolazione sottoposta alle misure di restrizione, isolamento e quarantena. Non disponiamo ancora di sufficienti dati per poter realizzare un quadro accurato dell’impatto che l’emergenza coronavirus sta avendo sulla popolazione generale, soprattutto dal punto di vista psicofisico. Tuttavia il quadro è allarmante soprattutto se si considera che solo una piccola percentuale di italiani ha la possibilità di intervenire efficacemente per ripristinare una condizione di benessere. Alcuni disturbi d’ansia, come per esempio il disturbo ipocondriaco e quello ossessivo compulsivo, trovano una naturale espressione in contesti simili: vademecum e regole, contagi, morti, condotte di sanificazione ed igiene, monitoraggio dei sintomi e delle manifestazioni fisiologiche (febbre, respirazione, etc) sono solo alcuni dei fattori con cui siamo chiamanti a fare i conti, ma non sempre disponiamo di adeguate risorse per farvi fronte senza cadere nel rischio sviluppare condotte estremamente rigide e inflessibili, alla base delle più comuni forme di sofferenza psicologica. Quando viviamo condizioni di forte stress diventiamo vulnerabili ai nostri pensieri ed ai loro contenuti verbali. È come se facessimo più fatica a distinguere un pensiero dalla realtà, ciò che esiste nella nostra mente da ciò che realmente accade fuori da noi. A causa di questo processo, a volte, rimaniamo intrappolati in pensieri e contenuti poco utili della nostra mente, soprattutto quando agiamo guidati da questi stessi pensieri pervasivi e stati mentali preoccupanti, intrusivi e ansiosi. Le rassicurazioni sono l’alimento principale alla base dei disturbi ansiosi: esse ci regalano un brevissimo sollievo ma ci rendono prigionieri, schiavi delle nostre paure. Quando avvertiamo la necessità o il bisogno di essere rassicurati, ricordate che nulla (pensieri o sensazioni) potrà mai obbligarvi ad agire in quel modo. Può essere utile provare a ridurre o rimandare nel tempo tutte le rassicurazioni che agiamo quotidianamente, anche di mezz’ora o qualche ora, questo alzerà i livelli di sensazioni e sofferenza, ma avrete anche intrapreso la strada giusta per allentare il potere che in passato avete concesso ai vostri pensieri. A poco a poco capirete che esiste un’alternativa, che potete anche fare a meno della rassicurazione o del controllo. Non sarà semplice, ma non dovrà necessariamente esserlo, è sufficiente che sia importante, per voi. Questo vi permetterà di costruire un repertorio di scelte e atteggiamenti nuovi e più funzionali al vostro benessere, alla vostra vita.
Acufene, il fischio che tortura… Avevo circa 16 anni, quando per la prima volta ho notato questa strana sensazione ad entrambe le orecchie, forse con un’intensità minore rispetto a quella di oggi, ma tuttavia fastidiosa. Nonostante i molteplici accertamenti medici e specialistici, ho dovuto accettare a malincuore questo compagno di viaggio non troppo gradito. E’ un disturbo che agisce in modo silenzioso e subdolo ma che rende la vita di chi ne soffre un vero inferno: l’acufene.Ne soffrono il 17% della popolazione mondiale, 17 persone su 100, 7 milioni di italiani.Le cause sono diverse, prevalentemente si tratta di un disturbo vascolare del sistema nervoso che le persone lamentano principalmente durante la notte, prima di dormire (nei momenti in cui il silenzio ne permette una maggiore percezione). Ma anche di giorno può essere frequente, quando si è più stanchi e l’attenzione viene più facilmente dirottata su di esso e nei casi in cui si è emotivamente coinvolti (ansia, rabbia, stress), momenti in cui vi è un maggiore coinvolgimento del sistema vegetativo.Non disponiamo ad oggi di una cura risolutiva ma di trattamenti sintomatici che alleviano l’impatto dei sintomi.Particolarmente efficace, nel panorama delle psicoterapie, gli approcci basati sulla mindfulness, l’ ACT (Acceptance and Commitment Therapy) e la psicoterapia cognitivo comportamentale, oltre che per l’efficacia del modello anche per la direzione lungo la quale si muove l’intervento e il cambiamento.Il trattamento psicoterapeutico tenta di ribaltare completamente il concetto di sofferenza e di soluzione alla sofferenza. Essa mette in risalto l’impatto che hanno, sulle nostre vite, tutti quei tentativi e strategie di sbarazzarci del dolore e sofferenza. Tutti vorremmo che le esperienze spiacevoli cessassero o si riducessero, spesso però non sono aspetti direttamente controllabili, e ciò che facciamo finisce per amplificarle e mantenerle nel tempo. L’acufene rientra in questi aspetti fuori controllo, e tutto ciò che facciamo per controllarlo (distrazione, evitamenti, rassicurazioni, droghe alcol ed altre sostanze) accresce la nostra esperienza di altro dolore in termini di frequenza e intensità.La vita di chi ne soffre spesso si impoverisce di opportunità ed aspetti che prima mantenevano un’adeguata qualità della vita. La psicoterapia mira a ripristinare la partecipazione dell’individuo ai più alti livelli possibili di impegno nei contesti significativi: fare ciò che conta anche in presenza di ciò che ci appesantisce o produce dolore. Impariamo a cambiare il rapporto con il dolore e con l’acufene, in questo modo riduciamo la comparsa di tutte quelle emozioni e sofferenze frutto del nostro atteggiamento all’acufene e non dell’acufene stesso. Non possiamo cambiare tutto, ma possiamo fare la differenza.
La mente costruisce scene, ricordando, immaginando, sognando. Le scene hanno effetto sul corpo, lo preparano ad agire e in particolare la loro carica emotiva definisce la priorità, l’emozione obbliga a tendere in quella direzione e a farlo subito. State guardando Breaking Bad, Better Call Saul, Peaky Blinders. Vi chiedete perché vostra figlia non emette un suono dall’altra stanza. Vi prende l’immagine mentale di lei soffocata nella coperta: paura, colpa.Mettete in pausa e andate a vedere. La scena mentale carica emotivamente gestisce la priorità.La mente non si limita a elaborare informazioni sulla base delle esperienze passate o a ragionare secondo modalità logiche. Ragioniamo mentre interagiamo col mondo esterno e svolgiamo compiti: mente e corpo immaginano le azioni necessarie, pianificano le azioni e prevedono le risposte possibili, preparandoci all’azione. Durante le sedute di Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) è possibile capire i nessi psicologici causa – effetto tra eventi, interpretazioni cognitive, emozioni e comportamenti quando re-immergiamo il paziente nel vivo dell’esperienza, che sia nell’immaginazione o mettendo in scienza l’episodio durante la seduta. Nella TMI quando il paziente entra nella scena nel qui ed ora, e abbandona la posizione del narratore, è possibile guidarlo ed aiutarlo a soffermarsi sul flusso di coscienza e a fargli scoprire particolari dolorosi e maladattivi del mondo interno che in precedenza non aveva notato. Fin dall’inizio il clinico coinvolge il paziente in una terapia in cui sa che sarà attivo al fine di curarsi.
Paure. Se osserviamo per un attimo le persone che ci circondano, concentrandoci su quelle che non conosciamo è molto probabile che li vediate sorridere e parlare tranquillamente: potreste pure pensare che tutti attorno a te sono felici, molto più felici di voi! Quando facciamo questa riflessione possiamo talvolta sperimentare una sensazione spiacevole e di disagio. Molte delle nostre azioni sono intraprese nel convincimento, del tutto irragionevole, di aver intuito o addirittura del tutto decifrato i pensieri dell’altro. La mente confronta di continuo la nostra vita con quella degli altri, e ci suggerisce che tutti sono felici tranne noi, che tutti affrontano la loro vita in modo diverso da noi, che di conseguenza c’è qualcosa di sbagliato in noi, qualcosa che deve essere risolto, curato. Quando guardiamo agli altri stiamo considerando semplicemente il loro modo di agire, di parlare, di atteggiarsi, non abbiamo accesso al loro momento interiore, alle loro sensazioni e ai lori pensieri. La persona, che indulge in questa distorsione, si esprime con frasi del tipo “Mi sta sorridendo, ma so che nel suo intimo mi odia” o “Lui o lei fa quello che fa perché mi ama (od odia) alla follia”. Chi viene dominato e guidato da questa distorsione perviene spesso a delle conclusioni irragionevoli, che possono produrre effetti drammatici sia nei rapporti interpersonali che famigliari e lavorativi ecc. Le nostre menti non amano le sensazioni intense, spesso le interpretano come segnali di pericoli e ci suggeriscono, con pensieri molto convincenti, di fuggire da tutte quelle circostanze che potrebbero perpetrare quella sofferenza oppure aumentare il nostro dolore.Spesso lottiamo contro pericoli che non esistono se non nei nostri pensieri. La mente ama raccontare storie e descrivere la realtà amplificandone gli aspetti negativi. Alcuni pensieri diventano regole: Non è normale provare queste emozioni, devi sbarazzartene; Se penso di essere una brutta persona lo sono realmente; Devo essere certo di non aver commesso errori ripensando ad ogni azione che ho fatto; Se non mi sento completamente sereno non posso agire come vorrei. Quando veniamo dominati da questi pensieri maladattivi e guidati da queste regole la nostra vita si impoverisce. Crediamo di vivere al riparo dai pericoli ma in realtà stiamo vivendo al riparo dalla vita.
PICCOLE STRATEGIE DI SOPRAVVIVENZA EMOTIVA: Viviamo giorni di grande emergenza, qualcosa che mai avremmo potuto immaginare: paura, incertezza, rabbia, frustrazione sono alcune delle emozioni con cui abbiamo a che fare in questi giorni. Allo stesso modo non mancano i pensieri che affollano la nostra mente, disegnando uno scenario ancora più difficile di quello che ci appare concretamente: le difficoltà economiche, i rischi di contagio, l’isolamento e la distanza dai nostri cari, la noia, le difficoltà relazionali con familiari e parenti. Dopo una prima fase di sorpresa e shock surreale per la notizia che il virus stava arrivando in Italia, il rifiuto e la negazione della nuova realtà di emergenza e sofferenza, ci ha portato ad avere una forte reazione di incoraggiamento reciproco, con applausi e flash-mob sui balconi d’Italia. Ben presto l’euforia e l’entusiasmo iniziale si trasformò in frustrazione per la perdita di libertà di movimento e alla realizzazione che qualcosa sta realmente cambiando, ad una diminuzione di entusiasmo e voglia di partecipare a inviti e canti dal balcone, spostandoci sui social anche qui la diminuzione di interesse è indice di una fase diversa da quella precedente, con la comprensione sempre più profonda e consapevole della nuova situazione, e il tentativo di reagire all’impotenza percepita cercando delle soluzioni e strategie per affrontarla. Probabilmente oggi ci troviamo in una fase di accettazione e tentativi di integrazione con la nostra coscienza di quello che sta accadendo, tuttavia rimangono fasi di nervosismo, tristezza, agitazione, rabbia di natura più moderata, ma anche incremento della positività, speranza e ottimismo, di riconciliarsi con la nuova realtà. Di fronte a queste oscillazioni della nostra mente, e allo scenario che ci si presenta quotidianamente dentro e fuori casa, spero possano esservi utili alcuni punti di riferimento, e strategie funzionali al fronteggiamento di questa situazione: FAI SPAZIO – Mai come in questo periodo è OK provare ansia, incertezza, rabbia e ogni altra cosa la vostra mente vi proponga, in ogni istante. Provate quindi a fare spazio a queste esperienze emotive e sensazioni, lasciate semplicemente che esistano dentro di voi. PONI ATTENZIONE A QUELLO CHE PUOI REALMENTE CONTROLLARE – Sono estremamente poche le cose che possiamo realmente controllare nella vita, di certo non possiamo controllare gli eventi, il virus, la crisi economica o i comportamenti rischiosi delle altre persone. Non possiamo eliminare a nostro piacimento i pensieri che ci infastidiscono o le sensazioni che ci opprimono. Possiamo controllare soltanto i nostri comportamenti. Proviamo quindi a concentrarci su tutto quello che possiamo fare, qui e ora (nel luogo in cui vi trovate), affinché questi comportamenti possano permetterci di vivere il più possibile entro i confini dei nostri valori. MANTIENI UNA ROUTINE – Potrebbe essere utile alzarsi alla stessa ora, sistemare il proprio letto o l’ambiente in cui viviamo, pranzare o cenare allo stesso orario e dedicare la giornata ad attività diverse. Se possibile coltiva anche il divertimento tanto quanto lo studio/lavoro (ove possibile). Fai qualcosa di nuovo, coltivalo nei giorni a seguire: leggi un nuovo libro, segui una nuova serie tv, sistema una stanza che hai sempre rimandato, cura le tue piante o semplicemente fai qualche lavoretto a casa. Ma ricorda, va bene anche se l’unica cosa che fai, nel corso di una giornata, è stare sul divano. Non è il momento di fare qualcosa in un modo specifico, stiamo provando a dare valore al tempo che abbiamo, e se a fine giornata non ci sentiamo soddisfatti di come abbiamo trascorso la giornata, non agguerrirti, sii gentile con te stesso. COLTIVA LE RELAZIONI – Sia quelle che hai a portata fisica che quelle virtuali. I tuoi amici, le tue conoscenze non sono scomparse, anche se non le vedi, trova un modo per entrare in contatto con loro ed offrire la tua presenza, il tuo sostegno, il tuo ascolto. PRATICA LA GENTILEZZA – Sii gentile con le persone che ti circondano, ma soprattutto con te stesso. Non hai scelto di trovarti in questa situazione, nessuno lo ha fatto. Se ti arrabbi con te stesso, con i tuoi limiti e le tue défaillance, non farai altro che aggiungere legna al fuoco. ABBANDONA LA LOTTA, RINUNCIA AL CONTROLLO – Rinuncia a tutti quei tentativi di capire, cambiare, eliminare quello che di questo periodo non ti piace, ma che non può essere cambiato perché è fuori dal tuo controllo. Quando entri in lotta con questi aspetti si alza inevitabilmente il volume di altre sensazioni e non sarà di certo più semplice rispetto a prima.In conclusione, anche in questo periodo di forte emergenza e anche in presenza di grandi difficoltà ed emozioni intense, possiamo comunque scegliere se coltivare la rabbia o la gentilezza, la lotta o l’accoglienza, la fuga o l’incontro con l’esperienza.
Automatismi. Viviamo spesso la nostra vita in funzione di routine e abitudini, in modalità “pilota automatico”. Questo atteggiamento talvolta è stato utile e performante, altre volte invece crea delle rigidità e difficoltà di adattamento con cui fare i conti, quando le condizioni ambientali, personali e interpersonali cambiano improvvisamente. Quello che sta accadendo alle nostre vite in questo periodo è uno di quei momenti. Adesso non abbiamo più molta possibilità di scelta, in cui rallentare e fermarsi è necessario per salvaguardare la salute ed il benessere di noi stessi e dei nostri cari. In momenti come questo, così come in altri momenti della vita, è normale avere paura e vivere nell’incertezza, è il momento in cui è necessario fare spazio a questi vissuti piuttosto che combatterli, ma soprattutto potrebbe essere una buona occasione per imparare a rallentare, e abbandonare la modalità “pilota automatico” concedendoci la possibilità di entrare in contatto con il nostro mondo interiore, con le nostre paure, con le nostre scelte. E’ il momento di riscoprire le piccole cose che abbiamo molto spesso trascurato e rimandato, giustificando questo atteggiamento per la mancanza di tempo e possibilità. Adesso abbiamo tempo, ciò che conta è il valore che daremo a questo tempo.Andrà tutto bene e facciamo in modo che questo avvenga il prima possibile.
Speranza. Il nostro corpo è la dimensione in cui la nostra mente ci mette in contatto con le nostre sensazioni, le nostre emozioni, il nostro dolore. E’ importante saper riconoscere le nostre risposte corporee, perché sono aspetti importanti delle emozioni e dare loro un nome, esprimendole con un linguaggio articolato e ricco, ci può aiutare a definire meglio i nostri stati mentali e descrivere a livelli crescenti di appropriatezza e complessità, pensieri, credenze, immagini e ricordi. Il dolore è “la nostra forma di connessione con il mondo” (Kelly Wilson). Proviamo dolore perché siamo in connessione con il mondo e con tutto ciò che avviene nel mondo e quindi nelle nostre vite. Gli eventi, siano essi belli o brutti, hanno la capacità di favorire dei cambiamenti nei nostri corpi, cambiamenti che sperimentiamo attraverso le sensazioni e che chiamiamo emozioni. Ciò che influenza profondamente le nostre vite è il modo in cui agiamo mentre facciamo esperienza di tutta l’intera gamma delle emozioni che proviamo. Pertanto l’unico aspetto sul quale possiamo esercitare un controllo reale ed efficace sono le nostre azioni, le nostre scelte, i nostri comportamenti. Quando vogliamo fare qualcosa, soprattutto se importante, non è necessario sentire dentro emozioni piacevoli o, al contrario, non sentirne di spiacevoli. La cosa più importante è SCEGLIERE di farlo, consapevoli che non per forza deve essere semplice, ma se ci permette di avvicinarci ai nostri obiettivi, forse vale la pena provare, anche se difficile (ma non impossibile). Agire con coraggio non vuol dire non provare paura ma agire guidati da valori per cui vale la pena anche provare paura.
Cambiamento. Almeno una volta nella vita, pensiamo di avere qualcosa che non vada, di essere sbagliati, di non essere amabili, che fosse necessario cambiare qualcosa del proprio carattere o addirittura il carattere stesso? Queste convinzioni e teorie che analizzano e ci guidano nella qualità delle relazioni umane in modo automatico e talvolta inconsapevole, scatenando un atteggiamento di intolleranza nei confronti della nostra mente, che giudica di continuo, in modo rigido e inflessibile, le nostre azioni, i nostri pensieri, i nostri sentimenti, i nostri atteggiamenti. È come una voce in sottofondo, come i sottotitoli di un film che descrivono in modo negativo e drammatico ciò che potrebbe accadere e le loro conseguenze sulla nostra vita. Questo finisce per condizionare le nostre scelte. Anche in presenza di aspetti altamente fastidiosi e sconvenienti della nostra personalità, essi non potranno mai impedirci di agire come realmente vorremmo, se nel tempo e con la pratica terapeutica, clinica ed esperienziale, riusciamo ad accogliere e a fare spazio in modo non conflittuale e non giudicante ognuno degli aspetti che procurano dolore, concedendo anche e soprattutto ad essi il diritto di esistere. Con questo nuovo atteggiamento, possiamo avere la possibilità di cambiare e migliorare i nostri comportamenti e stati mentali. Cambiando quindi anche il dolore e la frustrazione che provavamo quando eravamo in lotta con loro.
Sbagliare. La nostra mente non ama soffrire, non ama sbagliare, desidera sempre che le cose siano facili, che gli altri ci vogliano bene e che nessuno ci tratti male o ci tradisca. La natura ci ha concesso una risorsa che ha reso questi atteggiamenti ancora più rigidi e inflessibili: il linguaggio. Attraverso le parole, la nostra mente descrive le situazioni che viviamo quotidianamente amplificandone gli aspetti pericolosi o l’intensità di dolore e sofferenza che potremmo provare se ci trovassimo in quelle circostanze. Quando indugiamo sui nostri errori, soprattutto quando non è più possibile intervenire, quando gli eventi, anche i più drammatici hanno prodotto dolore e sofferenza, non stiamo più gestendo quegli errori o quegli eventi bensì il loro ricordo, un’idea, un pensiero. Un pensiero, così come un evento spiacevole, avrà sempre il potere di farci soffrire; ma quello stesso dolore non potrà mai essere più grande del nostro valore, più grande della persona che nota quel ricordo nella sua mente. Quando proviamo a mollare il nostro passato, i nostri errori, le nostre zavorre, tutto torna a posto. Un ordine non soggetto a controllo ma al semplice ed implacabile scorrere della vita! Processo che ha in sé anche la grande possibilità di commettere errori o di provare dolore.
Valori. Ogni essere umano sperimenta delusioni, separazioni, insuccessi o momenti di sofferenza fisica. Questi eventi hanno il potere di suscitare un repertorio di emozioni e sensazioni intense, che spesso le definiamo negative e difficili. Tutti facciamo esperienza, nel corso della vita, di una consapevolezza man mano sempre più difficile da digerire, che non saremo mai in grado di eliminare completamente la sofferenza dalle nostre vite, per quanto ci si possa impegnare e per quanto tempo o energie si scelgano di impiegare. Tuttavia siamo d’accordo che a nessuno piace soffrire, ancora meno alle nostre menti, programmate dalla natura ad evitare sempre e comunque il dolore e le sofferenza. Sappiamo bene che provare ansia, o tristezza, pur essendo fastidioso, rappresenta comunque una condizione compatibile con ogni altra attività o azione:- Siamo in grado di andare a lavorare, anche in presenza di tristezza per la fine di una relazione; Siamo in grado di sostenere un esame, anche in presenza di ansia o incertezza; Siamo in grado di partecipare ad eventi che coinvolgono persone a noi care, anche se quello che stiamo facendo suscita noia e frustrazione; Le nostre menti “vengono al mondo” programmate da specifiche convinzioni e aspettative rispetto alla vita che si manifestano attraverso idee e pensieri automatici, non scegliamo di averle, ma si presentano con l’intento di aiutarci ad evitare i pericoli e favorire la sopravvivenza. Quindi non possiamo controllare direttamente le nostre emozioni, sensazioni o pensieri. Fanno parte della normale esperienza umana, ma sappiamo che, nel momento in cui proviamo a giudicarli, modificarli o eliminarli, essi aumentano, crescono, diventano ancora più difficili da sostenere o vivere. Pertanto “per cosa o per chi vale la pena agire, anche in presenza di emozioni intense, facendo qualcosa di importante?”. La risposta è nei VALORI, ossia ognuna delle direzioni che possiamo scegliere di intraprendere e percorrere per rendere importanti le nostre scelte, le nostre vite. I valori non sono qualcosa che si possiede. Nessuno ha il valore della famiglia, quello del lavoro o dell’educazione. Piuttosto sarebbe corretto descrivere una vita ricca di valori come quella vita in cui ognuno sceglie di DARE VALORE A QUALCOSA (al lavoro, alla famiglia, al vivere in società) con le proprie scelte, le proprie azioni. Molto spesso agire in direzione di un valore non è per nulla semplice, tutt’altro. Per chi, allora, vale la pena agire, facendo qualcosa che a volte crea sofferenza?Per chi vale la pena sostenere anni di studio, rinunce o sacrifici?La risposta non è difficile ma non per questo scontata: quella persona sei TU. SEI TU quel valore aggiunto che rende prezioso quello che facciamo, sei tu una motivazione sufficiente per cui si possa scegliere di fare qualcosa di difficile ma di valore. Se è importante per te, allora vale la pena farlo, anche se la nostra mente dovesse suggerirci di scegliere la strada più semplice.
Impegno. Ognuno di noi vorrebbe che la propria vita fosse facile, che dolore e sofferenza fossero qualcosa da poter controllare ed interrompere con un semplice pulsante. Nei confronti di queste aspettative la nostra mente assume spesso un atteggiamento rigido e inflessibile. Di conseguenza, quando la vita ci mette a confronto con circostanze ed eventi fuori dal nostro controllo (emozioni, pensieri, sensazioni) sperimentiamo un vissuto emotivo ancora più intenso del precedente con un impatto notevole sulle nostre vite. Provate ad immaginare una situazione in cui, pensando a dover fare qualcosa come sostenere un difficile colloquio di lavoro o andare a lavoro in un ambiente stressante, questo pensiero susciti sofferenza. E’ molto probabile che la nostra mente ci suggerisca di rimanere a casa o di evitare ogni altra circostanza in cui prevediamo compaia qualcosa di difficile da sostenere e sperimentare: “Perchè mi sento in questo modo?”; “Perchè sto avendo questi pensieri?”; “Se andrò a quell’appuntamento con questa sensazione starò male e se ne accorgeranno tutti.”; “Non posso farcela, è meglio rimanere in casa”; “Andrà sempre peggio, meglio licenziarmi”. Potrei andare avanti a lungo tentando di elencare tutte le possibili domande o scelte che la nostra mente sviluppa di fronte a quello che ritiene non debba esserci: emozioni intense e sofferenze. Esse, purtroppo, fanno parte della nostra vita, come la fame prima della sazietà, la sete, o la noia prima di far qualcosa di interessante. Esse fanno parte della vita come un temporale prima dell’arcobaleno, il dolore prima di una nascita, l’imbarazzo prima di un bacio dato per la prima volta. Il bianco e il nero convivono contemporaneamente all’interno di ogni vita, sia essa una splendida vita o una vita difficile.Possiamo vivere una vita ricca e significativa anche in presenza di emozioni intense, eventi fuori dal nostro controllo, un passato difficile da digerire. Nonostante quello che potremmo fare sarebbe utile, importante, arricchente per le nostre vite, scegliamo di fare tutt’altro, semplicemente perché un pensiero, un sottotitolo al film, ci suggerisce di farlo. In assenza di scelte, di impegno, le nostre vite sarebbero in balia di quei sottotitoli, e nulla di importante accadrebbe mai, se non mera sopravvivenza. Le azioni, le scelte, sono il vero motore del cambiamento.
La tempesta dei pensieri. “come la superficie dell’oceano si increspa quando soffia il vento, così anche la mente tende ad agitarsi e a divenire reattiva in presenza di turbolenze esterne. Ma se scendi quattro o cinque metri sotto la superficie del mare trovi solo un lievissimo movimento: a quella profondità l’acqua è calma anche quando la superficie è tempestosa. Lo stesso accade quando riusciamo a sviluppare una mente saggia: vivere e sentire consapevolmente gli stati mentali (emozioni, sentimenti, sensazioni somatiche, pensieri) senza commentarli né valutarli, ma accettandoli e vivendoli nel qui e ora, sottostante all’agitazione della mente pensante e intrinsecamente più’ calma…” (Kabat-Zinn, 1990). La maggior parte della psicopatologia è caratterizzata da una qualche intolleranza verso aspetti dell’esperienza interna o da qualche modalità di evitamento finalizzata a fuggire dall’esperienza interna. Gli interventi terapeutici più efficaci tendono ad indebolire in qualche modo gli aspetti di evitamento aiutando il paziente ad esporsi a vari aspetti temuti dell’esperienza interna, vuoi da un punto di vista comportamentale vuoi incoraggiandolo a entrare più in contatto con emozioni di paura, dolore o rabbia. Quando i nostri pensieri sono rivolti al futuro definiamo questa strategia rimuginio, una forma di “pensiero di tipo verbale e astratto, privo di dettagli e seguito, in molti casi dalla focalizzazione visiva di immagini relative ai possibili scenari individuati come pericolosi. Chi rimugina ha paura e teme sempre possa avverarsi il peggio, non riesce a valutare possibili alternative per gestire la situazione temuta e pensa che il rimuginare possa portare alla soluzione del problema. Alla lunga, chi rimugina si percepisce debole, fragile, insicuro, spaventato e costantemente soggiogato dalla pericolosità del futuro, di conseguenza il rimuginio si cronicizza e diventa disfunzionale e maladattivo” (Clark, & Beck, 2010). Quando invece rivolgiamo le nostre energie al passato si parla di ruminazione, “una forma circolare di pensiero persistente, passivo, ripetitivo legato ai sintomi della depressione (Nolen-Hoeksema, 1991). Tale forma di pensiero è rivolto al passato ed è legato alla perdita di qualcosa di importante. I pensieri ruminativi diventano la causa della comparsa della depressione, del suo mantenimento e aggravamento (Broderick, & Korteland, 2004).
Sopravvivere. “Non è normale sentirsi in questo modo”; “Se non finiranno queste sensazioni non sarò mai felice”; “Perchè io soffro cosi tanto e tutti gli altri sono più felici di me?”. Questi interrogativi descrivono l’atteggiamento di lotta con cui la nostra mente tenta di affrontare e risolvere ciò che limita il suo benessere.Il linguaggio, e quindi il pensiero, rappresenta uno straordinario strumento a tale scopo. Riusciamo, ogni giorno, ad evitare pericoli non ancora accaduti, a prendere scelte per ottenere vantaggi che accadranno in un futuro non bene definito, ma anche a creare problemi anche dove non ce n’è traccia.Uno tra questi è appunto rappresentato da ciò che proviamo dentro di noi: pensieri, emozioni, sensazioni.Provate ad immaginare cosa accadrebbe se la vostra mente vi suggerisse, in modo convincente, che il lampadario sopra la vostra testa, in questo momento, stesse per cadervi in testa. Probabilmente provereste uno stato di profonda apprensione ed è molto probabile che vi alzereste dalla sedia per mettervi al sicuro. La vostra mente vi ha permesso di evitare un pericolo ed un danno fisico certo, ma siamo sicuri che ciò che avete evitato fosse realmente un problema? Se foste stati in grado di riconoscerlo per quello che realmente è, UN PENSIERO, sarebbe stato più facile rimanere seduti su quella sedia? Probabilmente si! Confondiamo spesso un problema reale con l’ “idea del problema” ed agiamo scelte concrete per poterli gestire, anche fuori dal contesto in cui si presentano, la nostra mente. E’ normale non essere sempre felice; E’ normale provare noia; E’ normale non sentirsi sicuri quando facciamo qualcosa di importante; E’ normale non sentirsi sempre all’altezza; E’ normale essere tristi a volte; E’ normale provare ogni tipo di emozione; E’ normale soffrire; E’ possibile provare tutto questo, e vivere comunque una vita ricca e significativa, soprattutto se, nonostante tutto questo le nostre scelte ed i nostri comportamenti sono guidati dai ciò che c’è di realmente importante e non da ciò che proviamo dentro di noi. E’ cosi, e va bene!
La vita scrive segni sul corpo oltre che nella psiche, curare la mente spesso richiede di agire a livello somatico. Sequenze di eventi avversi, simili tra loro, si sedimentano nel cervello, nello stomaco, sulla pelle, nei muscoli, scavano a fondo solchi, tracce memorizzate che in età adulta riaffiorano, testimoni di sofferenze passate. I pazienti a volte ricordano in modo chiaro le scene che li hanno portati al dolore, per cui chiedono di essere aiutati. Quando non riescono a chiedere aiuto, è il corpo che parla per loro, nello stesso linguaggio in cui erano stati codificati i fatti traumatici. Giancarlo Dimaggio in “Corpo, immaginazione e cambiamento”. Molti sono i disturbi che caratterizzano questo processo psicopatologico, con una progressiva trasformazione degli stati mentali maleadattivi che possono talvolta sfociare nel disturbo psicosomatico. Per definizione la sintomatologia che caratterizza questo disturbo è una risposta fisiologica eccessiva o indesiderabile agli stress psicologici. Infatti i pazienti psicosomatici, manifestano un elevato livello di attivazione neurovegetativa che si accompagna al quasi totale negazione autoriferita di un qualsiasi problema psicologico. Questi sintomi non sono volutamente prodotti dall’individuo e la loro presenza, condiziona in maniera significativa la qualità della vita della persona, compromettendo la sua sfera personale, sociale, lavorativa e familiare. Nei disturbi psicosomatici o somatoformi è presente un sintomo fisico non attribuibile alla condizione medica generale dell’individuo. Sono problematiche al confine tra i disturbi mentali e le condizioni mediche generali del paziente e sono spesso poco considerate da entrambi i campi: per esempio una persona con disturbo di somatizzazione può essere sottoposto a interventi chirurgici non necessari.
Il Pensiero che agisce…per disciplinare la delicata materia che è la vita e fa in modo che, quell’impasto di genialità o stupidità, nella commedia umana, rafforzi o deprime l’andare…tra successi o fallimenti. Il pensiero tenta di disciplinare la materia, la vita, muove dentro un sentire fuori controllo, dandoci l’illusione che un controllo ci sia, sia necessario, e nel farlo oscura l’unica cosa che possiamo realmente gestire, l’andare. Ahimè! Per via del pensiero e del linguaggio, a fronte di grandi opportunità, viviamo spesso limiti e difficoltà. Una di queste, per esempio, si presenta quando entriamo a contatto con esperienze difficili o dolorose: un lutto, una delusione, una sensazione intensa, un pensiero negativo. La nostra mente gestisce queste esperienze come qualcosa da cui fuggire, con cui lottare, da capire e risolvere come fosse un problema fondamentale per la nostra sopravvivenza. Ecco quindi che attiviamo numerose strategie di evitamento, rimuginazione, e problem solving verbale, nel tentativo di modificare la forma e l’impatto che ognuna di quelle esperienze hanno sul nostro benessere. Quando agiamo queste strategie, purtroppo, otteniamo l’effetto opposto, amplifichiamo il dolore e la sofferenza. Non possiamo impedire agli eventi di provocarci dolore e sofferenza, ma possiamo piuttosto scegliere quale atteggiamento avere con queste esperienze, con queste sensazioni. E’ proprio nel momento in cui abbandoniamo la lotta verso ognuno di questi elementi, di queste sensazioni, che la loro mossa cessa, permettendoci di agire più in funzione di ciò che realmente conta che in funzione delle nostre sensazioni!
Frequentemente alla base del disagio psicologico si colloca un atteggiamento comune a tutti gli esseri umani, il tentativo di evitare o ridurre qualsiasi forma di sofferenza interna, ritenendola il segno di una vita infelice! Quando le persone sperimentano certe emozioni “negative” (paura, ansia, tristezza) o sensazioni molto intense (giramento di testa, tachicardia, peso allo stomaco), quando pensano a se stessi in modo critico o anticipando “ipotetici” pericoli, si sforzano spesso di ridurre o eliminare tali esperienze, credendo che tale atteggiamento o strategia sia l’unico modo possibile per generare uno stato di benessere o di “felicità”. Paradossalmente, il disagio emerge più intenso e prolungato nel tempo proprio a seguito di questo atteggiamento di lotta ed evitamento dell’esperienza interna. Questo tipo di atteggiamento, oltre a produrre dolore e sofferenza, determina ulteriormente il restringimento del proprio repertorio comportamentale: accade quindi che si riducono le opportunità di partecipazione attiva ai contesti significativi (lavoro, famiglia, relazioni, tempo libero) con un impatto rilevante sulla qualità dell’ umore, quindi sul benessere personale. Puoi scegliere di fare altro dal continuare a lottare, evitare, controllare qualsiasi cosa provi dentro di te, concentrandoti piuttosto ad agire in modo coerente con i tuoi obiettivi, anche se, mentre lo fai, dentro non ti senti come vorresti. La possibilità di accettare, aprirsi, a tutto ciò che è fuori dal nostro controllo, impegnandosi attivamente, con attività concrete, in ognuna delle circostanza in cui siamo coinvolti può contribuire, se gestite al meglio, a rendere la nostra vita ricca e significativa… ricordando sempre e comunque che TU sei molto più, molto più importante di tutto questo.
Cosa significa definire sani CONFINI relazionali e avere rispetto di Sé? Ecco alcuni esempi: • Dire di NO quando non si è disposti a soddisfare una richiesta, anziché farsi dominare dal senso colpa – il senso di colpa può portarci a dire “SI” per evitare di deludere chi ci ha chiesto un favore. Quando dici “NO”, ricorda a cosa stai dicendo “SI” di ciò che è importante per te. • Dire “SI” come atto di disponibilità, perché scegli, non perché DEVI – non mosso dall’ “obbligo” di non dispiacere gli altri. Se dici SI in questi casi è perché ti permette di esprimere una qualità a cui dai valore e/o di nutrire una relazione. Nota la DIFFERENZA fra il SI detto per «scappare dal senso di colpa» e il SI «offerto» come movimento verso chi e cosa è importante per te. • Chiedersi nei momenti difficili: “di cosa ho bisogno ora?”, e offrirsi quella cura di cui si sente il bisogno, anche con piccoli gesti. • Chiedere in modo chiaro ciò che desideri o di cui senti il bisogno – cosa vorresti che facesse quella persona per te? È di grande aiuto non dare per scontato che gli altri abbiano il potere della telepatia o che semplicemente “debbano capire”. • Comportarsi in accordo con i propri valori. Cosa farebbe la persona che voglio essere, in questa situazione? (Magari direbbe, con coraggio “Non posso farti questo favore, mi dispiace”, oppure proporrebbe una alternativa che sei disposto a offrire). • Esprimere i propri sentimenti, i propri bisogni e le proprie preferenze, senza giudicare l’interlocutore. • Esprimere apertamente il proprio disaccordo, senza giudicare o aggredire l’interlocutore, distinguendo la persona dalla sua argomentazione. • Assumersi la responsabilità della propria vita e della propria felicità – Nessun altro ha il compito di “salvarti da una vita infelice”. • Lasciare andare l’idea di essere responsabili della felicità di altre persone – non sei responsabile della loro felicità, puoi offrire un contributo alla loro vita con una relazione, ma non hai il compito di salvarli da una vita infelice. • Vivere con la consapevolezza che non esistono emozioni giuste o sbagliate, e che possiamo fare spazio anche ai sentimenti più difficili – Non è di grande aiuto giudicare pesantemente le emozioni che provi. Di solito aggiunge senso di colpa e altre emozioni spiacevoli, peggiorando il tuo umore, e limitando il ventaglio di scelte. Permettiti di sentire quello che senti e ascolta cosa ti dice quello che provi dei tuoi bisogni e dei tuoi valori.
Dentro di noi è presente un universo (sensazioni, emozioni, pensieri) ma noi non siamo nessuno di questi elementi, siamo anche questo ma siamo soprattutto molto di più di loro. Siamo la nostra storia, il nostro passato, il nostro futuro, il nostro corpo, le nostre relazioni, la nostra mente, siamo tutto questo ma comunque siamo sempre molto PIU’ di quello che percepiamo. Il percorso psicoterapeutico permette di maturare un atteggiamento di pura consapevolezza, non tanto rispetto alla fondatezza o meno dei pensieri, quanto piuttosto rispetto al fatto che, sia che un pensiero sia vero o falso, rappresenta nient’altro che un prodotto della nostra mente che ha luogo esclusivamente nella nostra mente. Questi pensieri sono in rapporto reciproco con emozioni e quindi sensazioni: l’uno determina l’altra che a sua volta innesca sensazioni e nuovamente pensieri. Il nostro corpo è come un fiume sotterraneo al cui interno scorrono tutti questi elementi. Non è utile, produttivo, capirli, combatterli, evitarli. Quando proviamo a farlo l’acqua di quel fiume diventa ancora più torbida ed agitata e rende ancora più difficile agire come vorremmo. Potrebbe essere utile, allora, abbandonare ogni forma di lotta e controllo rispetto a quello che scorre al nostro interno, anche se questo dovesse significare farci carico di sensazioni molto intese. Quando allentiamo il controllo e iniziamo ad agire NONOSTANTE dentro di noi vi sia qualcosa che non ci piace e che non vorremmo, cambiamo il nostro rapporto con quello che sta dentro di noi, che scorre in quel fiume, ed agire diventa sempre più semplice ed efficace.
Provate ad immaginare che in questo momento vi fosse nella vostra mente il pensiero che “il lampadario sopra la vostra testa potrebbe cadervi in testa”. Se voi credeste a questo pensiero (fusione con i pensieri) è probabile che scegliereste di spostarvi in una zona della stanza meno rischiosa e più sicura. Questo comportamento è stato agito non perchè vi fosse la voglia o il desiderio di stare in piedi nella stanza, quanto piuttosto in risposta al rapporto che avete assunto nei confronti del vostro pensiero (dargli potere).
In ogni istante la nostra mente, attraverso il linguaggio ed il pensiero, proverà a raccontarci tante storie, esprimerà giudizi nei confronti di quello che facciamo o dovremo fare, e nella maggior parte dei casi questi giudizi e considerazioni mettono in risalto soprattutto gli aspetti negativi di queste circostanze. Parole, idee, ricordi, sensazioni, immagini e tutto quello che possiamo percepire dentro di noi è parte del nostro linguaggio, è esso stesso linguaggio. Nonostante dentro la nostra mente vi siano pensieri che ci spingono in una direzione o nell’altra, è opportuno riuscire ad agire in direzione e in relazione a tutti quegli aspetti importanti della nostra vita, piuttosto che rendere fondamentale e prioritario quello che pensiamo. Ciò che conta è il modo in cui agiamo nonostante dentro vi sia qualcosa che lo rende difficile. “Se il nostro pensiero si trova impantanato tra significati simbolici distorti, ragionamenti illogici e interpretazioni erronee, finiamo per diventare realmente ciechi e sordi”. -Aaron Beck-
Immaginate di voler fare una telefonata ad una persona cara che non sentite da tanto tempo. Immaginate che ogni volta che vi apprestate a farla proviate dentro di voi una sensazione spiacevole. In quel caso è probabile che rimandiate la vostra azione, che facciate altro (confort) piuttosto che alzare la cornetta e comporre il numero. Ogni volta che rinunciamo a fare qualcosa, perché poco prima di agire non riconosciamo quelle sensazioni che vorremmo provare (gioia, felicità, benessere) stiamo fondamentalmente rinunciando a vivere una vita ricca e significativa, avendo in cambio una breve e illusoria riduzione di alcune sensazioni che reputiamo spiacevoli. Potrebbe allora essere utile cambiare prospettiva, agendo con flessibilità. Quando ci muoviamo in direzione di qualcosa di importante, non sempre è facile, non dev’essere facile, altrimenti perderebbe il suo valore, la sua importanza. I valori sono aspetti della vita che hanno un costo e non danno nulla in cambio nell’immediato. I frutti delle nostre azioni li raccoglieremo un giorno quando, guardandoci intorno, saremo circondati da persone importati…solo allora faremo un sorriso e capiremo che ne è valsa la pena!
COSA ACCADE QUANDO PROVIAMO A CONTROLLARE I PENSIERI?
100 Miliardi di neuroni nel cervello, 50 Milioni di pensieri al giorno, 95% Pensieri intrusivi, ridondanti e negativi, 1 Momento presente: ORA. Purtroppo i pensieri non possono essere cancellati come fossero dei file di un computer, essi sono il frutto stesso della nostra attività mentale, e nel momento in cui proviamo a discuterli, o controllarli, essi assumono importanza e rilevanza determinando ulteriori emozioni e sensazioni ed emozioni spiacevoli. Trascorriamo molto tempo a gestire le circostanze future rinunciando ad agire in concreto nell’unico momento in cui è possibile farlo, e cioè il momento presente. Non è un problema pensare o dare attenzione a certi pensieri, lo diventa nel momento in cui rinunciamo ad agire in direzione di quello che per noi è importante, credendo che nel farlo possa accadere qualcosa di spiacevole. Spesso evitiamo luoghi, persone, circostanze, nel tentativo di non andare incontro a quelle circostanze spiacevoli. Tentiamo di controllare i pensieri, evitandoli, cancellandoli dalla nostra mente, soprattutto quando il loro contenuto è valutato pericoloso ed inaccettabile.
Una strategia utile potrebbe essere quella di porci una semplice domanda:
Come mi piacerebbe agire se oggi la mia ansia non fosse cosi presente?
Individuata una risposta chiara e concreta, potremmo iniziare ad impegnarci, a piccoli passi, in azioni che possano permetterci di avvicinarci all’obiettivo.
Ad ogni passo potremmo capire che non conta come ci sentiamo per poter agire, quanto agire per poter stare bene!
<<Io vado dallo psicologo>>. Sembra un’affermazione da poco, una sorta di coming out semplice, ma per molte persone il confidare a qualcuno che nel corso della vita è stato per loro necessario intraprendere un percorso di psicoterapia è ancora difficile. <<Colpa>> di uno stigma sociale che, sebbene diminuito nel corso degli anni, continua a circolare e far etichettare come “matto” chi ha bisogno di supporto psicologico. Questo lato della propria vita spesso rimane privato e nascosto. I problemi principali per cui uomini e donne si recano dallo psicologo sono ansia, attacchi di panico, depressione. Una vasta gamma di disturbi che vanno curati, ma che spesso vengono trascurati.
L’intenzione, o la capacità di attivare l’intenzione delle persone di affrontare obiettivi di cambiamento è la condizione necessaria (non sufficiente, ma necessaria) per avviare un processo di cambiamento reale e con discrete probabilità di successo. Se non vi è una piena identificazione della persona con il proprio progetto di cambiamento, una totale accettazione di un modello concettuale “altro“ verso il quale tendere ed un’autonoma attivazione di energie cognitive ed emotive – “flusso di coscienza” – il processo non si innesca e non si raggiungono risultati soddisfacenti. Pertanto è opportune dare spazio al bagaglio soggettivo, emotivo, relazionale e cognitivo del mondo dei valori che rappresentano i criteri guida, le mappe decisionali che orientano le scelte verso ciò che è giusto, migliore, preferibile o opportuno perseguire.
Immaginate di trovarvi in una buca, di esservi dentro senza che voi lo abbiate scelto e senza che voi aveste potuto evitarlo. Cosa credete sia più utile da questa posizione? Trovare una risposta alla domanda “perché sono finito qua dentro?” o piuttosto capire come fare ad uscirne? Uscire dalla buca non vuol dire allontanarsene semplicemente, potremmo vedere la buca come l’imprevisto che periodicamente accompagna le nostre scelte e le nostre azioni, non possiamo evitarlo. Uscire dalla buca, piuttosto, vuol dire individuare qualcosa di valore, nella nostra vita, per cui valga la pena rischiare di trovarsi in quella buca. Vuol dire agire in direzione di qualcosa d’importante, di essenziale, per noi e per le persone che ci stanno intorno, rispondendo alla domanda: “Se questo dolore o sofferenza fosse il prezzo da pagare per riuscire a raggiungere, sperimentare, quello che per me è importante, ne varrebbe la pena?”. Non è possibile eliminare il dolore, la sofferenza, e gli eventi che la causano, ma piuttosto possiamo relazionarci a questo dolore guardandolo in prospettiva a quello che ci permetterebbe di avere in cambio se scegliessimo di agire nonostante lui sia lì.
Vivere in modo felice e significativo non vuol dire assenza totale di dolore ma la capacità di agire comunque, nonostante la sua presenza.
Da quando ci svegliamo a quando andiamo a letto, noi esseri umani perseguiamo costantemente lo stato di FELICITA’ e benessere che tutti vorrebbero provare e sentire quando osservano le proprie emozioni e sentimenti. Siamo sicuri che questo obiettivo, nel modo in cui lo intendiamo, sia alla portata di noi esseri umani? Nella società occidentale del benessere sembriamo tutti stressati, depressi e insoddisfatti (e chi non lo sembra spesso in realtà lo è comunque, solo che finge il contrario)? Perché siamo prigionieri della «trappola della felicità», un circolo vizioso che ci spinge a dedicare il nostro tempo, la nostra energia, la nostra vita, a una battaglia persa in partenza: quella contro i pensieri e le emozioni negative. Che è poi una battaglia contro la realtà e contro la stessa natura dell’essere umano. Perennemente in lotta, e perennemente sconfitti, dato che il controllo che abbiamo sui nostri pensieri ed emozioni è in realtà infinitamente meno di quanto la nostra cultura voglia farci credere, è inevitabile ritrovarsi spossati, frustrati e delusi di sé e della propria esistenza. Pionieri come Russ Harris della Psicoterapia ACT (Acceptance and Commitment Therapy) e Psicologi Psicoterapeuti CBT (Cognitive Behaviour Therapy) della nuova generazione, ci guidano a prendere coscienza dei meccanismi mentali che ci tengono prigionieri facendoci ostinare a perseguire chimere impossibili – essenzialmente, avere sempre emozioni e pensieri positivi e mai negativi – e a recuperare la nostra libertà di scegliere e di agire come riteniamo meglio per noi.
Ci sono delle situazioni attive nella nostra vita che si ripercuotono sul corpo e sullo stile di vita. E’ opportuno porvi rimedio al più presto in maniera da eliminare le cause o sviluppare le abilità personali per gestire i problemi quotidiani. Un buon training di rilassamento potrebbe darci benefici rapidi e consistenti. Tuttavia, talvolta la situazione è complessa poiché ci sono più fattori che interagiscono e questa interazione si protrae ormai da molto tempo. Ci vorranno molte energie per interrompere questi circoli viziosi che ci portano a star male, ma con un costante impegno è sicuramente possibile migliorare la nostra qualità della vita.
La promozione del cambiamento in psicoterapia cognitivo – comportamentale è un processo affascinante di condivisione e comprensione degli schemi disfunzionali del paziente e promuovere una consapevolezza della mente dell’altro, affrontando le situazioni relazionali temute per accedere alle parti sane di Sé ed esplorare nuove parti di Sé, costruendo nuove modalità di attribuzione di significato e di relazione, con l’accettazione matura dei propri limiti nel poter influenzare il cambiamento proprio e altrui ed influire sugli eventi.
Le nostre teorie su noi stessi e sul nostro ambiente, comprese le nostre aspettative e i nostri programmi per l’azione sul mondo e sugli altri, tendono a guidare il percorso della nostra vita attraverso una serie di automatismi, come quando reagiamo in modo “inconsapevole” a certe situazioni che in qualche modo “si somigliano”. Queste abitudini sono come vecchi sentieri molto battuti che tendiamo a ripercorrere, ci danno un senso di familiarità ma possono trasformarsi in circoli viziosi. Se li abbiamo imparati, sono serviti a qualcosa in passato ma nel presente tendono a ridurre la visione delle vie a nostra disposizione (il nostro ventaglio di scelte). Quando diveniamo consapevoli della funzione dei vecchi sentieri per noi, dei vantaggi che ci hanno procurato, e realizziamo che “non sono più utili” a esprimere ciò che per noi è importante esprimere, possiamo imparare a “rischiare” percorrendo nuove strade. Le nuove strade non sono più facili da percorrere, ma probabilmente ci permettono di crescere e cambiare in meglio la nostra vita.
Per una vita più serena e soddisfacente, chiedete a voi stessi cosa vi piace fare, quali sono i vostri valori e bisogni. Chi sono? Sono il mio lavoro e tanto altro…Il verbo “essere” implica unità fra il soggetto e l’oggetto della frase. “Io sono uno psicologo” implica unità fra “io” e “psicologo”; la maggior parte di noi, tuttavia, fa molte altre cose oltre a esercitare la propria professione. Le persone sono troppo complesse per essere inquadrate all’interno di una singola categoria.
Gli esseri umani oltre a produrre rappresentazioni, idee e convinzioni, ci riflettono sopra, così come riflettono sulle rappresentazioni che attribuiscono agli altri, e che queste riflessioni sui pensieri e gli stati mentali hanno un’enorme importanza nel determinare il loro comportamento e la loro vita sociale sia nel bene che nel male (benessere vs. malessere). Ad esempio avere la convinzione che le persone dispongano di un alto grado di controllo sul pensiero spontaneo e ne siano responsabili, potrebbe comportare un monitoraggio frequente di pensieri o immagini mentali presenti nella mente e un senso di responsabilità per l’eventuale presenza di contenuti indesiderati, con l’obbligo ad allontanare detti pensieri o immagini. Pertanto possiamo tendere a credere che la semplice presenza o formulazione di un pensiero abbia conseguenze sul piano morale o reale. In altre parole valutare sé stesso in base ai pensieri che facciamo e presentare la convinzione che avere un cattivo pensiero non è moralmente differente dal fare una cattiva azione, può causare talvolta disturbi emotivi e psicologici che condizionano e influenzano il nostro quotidiano.
La tirannia delle doverizzazioni: le idee e convinzioni funzionali si limitano a definire ciò che ci piace o non ci piace in termini di desideri o preferenze personali. Quelle disfunzionali esasperano invece tali preferenze in pretese, bisogni o doveri assolutistici e dogmatici verso noi stessi, gli altri e il mondo. La persona è in grado di riflettere sui propri pensieri e può esercitare il suo potere al fine di modificare le proprie convinzioni irrazionali.
Possiamo accettare il fatto che il passato sia importante e che senza dubbio sarà stato influenzato significativamente in molti modi dalle nostre esperienze remote, ma dovremmo riconoscere anche che il presente sarà il passato di domani e che, operando per cambiarlo, potrà rendere il nostro futuro sensibilmente diverso e forse anche più soddisfacente. La capacità di creare e utilizzare la propria storia di vita (memorie autobiografiche) è un aspetto centrale della nostra salute mentale, per adattarsi al mondo in cui viviamo e per dare un senso a ciò che sta accadendo. Tuttavia se utilizziamo memorie specifiche, come ricordi dolorosi verosimilmente appropriati alla situazione che stiamo vivendo, potremmo incorrere a memorie eccessivamente generalizzate e intellettualizzanti. Per esempio se qualcuno ci rivolge una battuta scherzosa, possiamo sperimentare a causa di tale affermazione un senso di rabbia e umiliazione, sovrapponendo erroneamente la situazione che stiamo vivendo con altre situazioni del passato che non hanno niente a che vedere con quel preciso momento. In questo la psicoterapia cognitivo comportamentale aiuta notevolmente a miglioramento le proprie capacità di integrazione e differenziazione per formare rappresentazioni stabili, continue e funzionali di sé stessi rispetto alla propria memoria autobiografica e a quello che sta accadendo sul piano interpersonale in un preciso momento.
La relazione di una coppia solida può essere paragonata ad una casa. Al primo piano della casa risiede la conoscenza del mondo interiore del partner, “le mappe dell’amore”: le necessità, i valori, le esperienze passate, le priorità, gli agenti stressanti. Al secondo piano si trova la cultura dell’affettuosità: l’apprezzamento e l’ammirazione per il partner che vengono espressi concretamente con parole e gesti. Al terzo piano vi è la capacità da parte della coppia di entrare in contatto intimo tra loro, non tanto o solo a livello fisico, quanto a quello comunicativo. All’ultimo piano della casa, ispirandosi al lavoro di Robert Weiss sui conflitti matrimoniali, è presente infine la “prospettiva positiva” in cui la coppia rimane anche quando si trova a scontrarsi.
Noi non vediamo le cose come sono. Noi vediamo le cose come siamo. Ogni emozione è influenzata dai pensieri e non solo da ciò che accade. Infatti è ciò che pensi di fronte ad una situazione a determinare le tue reazioni emotive, più che la situazione in sé stessa. La maggior parte delle volte in cui provi un’emozione intensa negativa (come una forte ansia) è perché stai pensando in modo negativo. All’interno di una cornice psicoterapeutica è possibile individuare i pensieri negativi e modificarli al più presto, mettendoli in discussione, attaccandoli e sostituendoli con pensieri più utili. Questo inizialmente richiede esercizio e un percorso terapeutico efficace che riesca a svelare ed elaborare i motivi per cui talvolta si prova così tanto disagio, aiutando le persone a ritrovare sé stesse, smarrite e disorientate nel proprio sistema percettivo caotico e spaventato, cosicché possano ritornare a vivere le proprie vite in maniera dignitosa e soddisfacente.
La capacità di ammettere a sé stesso di aver bisogno di aiuto e chiedere aiuto all’altro (e al professionista), varia a seconda della qualità della coscienza in relazione al tipo di rapporto che ha la persona con il mondo e alla sua memoria autobiografica (pregiudizio e stigmatizzazione del disagio nell’ambiente culturale e familiare). Nella storia di apprendimento della persona, le esperienze relative al tipo di relazione instaurata con le figure di attaccamento principali (i genitori) e con le persone considerate importanti nella sua vita, possono influenzare in maniera significativa la qualità della coscienza e la capacità di saper chiedere aiuto all’altro. Il sistema motivazionale principalmente coinvolto nella richiesta d’aiuto è di tipo cooperativo in atto tra la possibilità di focalizzare l’attenzione sulle capacità di aiuto (sé) e sulla richiesta di aiuto (altro) considerato come una risorsa piuttosto che una minaccia. Pertanto quando la persona in uno stato di sofferenza, riscontra la difficoltà ad accedere a informazioni al “sé vulnerabile”, il “sé non vulnerabile e onnipotente”, compromette la capacità di chiedere aiuto. Il basso livello di coscienza indica una ridotta riflessività sui propri stati mentali e aumento dei comportamenti automatici di ostilità ed egocentrismo, aggressività e passività. Infatti è plausibile sostenere la correlazione tra la gravità del quadro psicopatologico e alterazione della coscienza, deficit cooperativo e difficoltà a chiedere aiuto.
Le richieste e la conflittualità, le aspettative e le incompatibilità, lo svelamento delle proiezioni che abbiamo attribuito alla crisi di coppia e l’inaspettato rivelarsi dell’altro come “un’altra persona”. Come tutti i sistemi, la coppia e la famiglia è una struttura in continua evoluzione. Cambiano i parametri interni di rapporto (età, desideri, aspirazioni, ecc.). Se desideriamo che gli altri ci conoscano e ci amino per quello che siamo davvero dobbiamo permettere loro di entrare in contatto profondo con noi stessi. Prima di instaurare relazioni forti e stabili con gli altri occorre entrare in relazione con noi stessi imparando a stare da soli e ad ascoltarci.
Ai miei figli davo per gioco, un bastoncino da rompere. E questo lo potevano fare. Poi davo un mazzo di bastoncini e per quanto provassero, non ce la facevano. Quindi dicevo loro: questa è la FAMIGLIA di K. Loach
Quali stili comunicativi metto in atto nella mia vita quotidiana? Dirigere, ammonire, moralizzare, biasimare, banalizzare, cambiare argomento. Ad esempio attraverso il senso di colpa vogliamo controllare il comportamento dell’altro. Se desideriamo che gli altri ci conoscano e ci amino per quello che siamo davvero, dobbiamo permettere loro di entrare in contatto profondo con noi stessi. Prima di instaurare relazioni forti e stabili con gli altri occorre entrare in relazione con noi stessi imparando a stare da soli e ad ascoltarci. I conflitti sono parte integrante della relazione: desideri, bisogni, intenzioni, motivazioni, etc. possono essere in contrasto con gli omologhi altrui. L’importante non è l’assenza dei conflitti, ma come questi vengono affrontati (e l’accettazione che alcuni NON siano risolvibili!).