Timidezza

La timidezza non è mai stata definita con chiarezza. Comprende un’eccessiva attenzione ai propri vissuti e può essere considerata un’ansia sociale lieve, senza forti disagi e molto più comune e meno invalidante della fobia sociale. Anche chi non è mai stato timido, nell’adolescenza va comunemente incontro a un certo grado di ansia sociale, il che può dipendere dal fatto che è nell’adolescenza che si si accorge di essere soggetti sociali.

Un’ipotetica base biologica del comportamento timido può risiedere in un costrutto temperamentale definito inibizione comportamentale per la novità e l’estrema timidezza come inibizione nelle situazioni sociali (Kagan et al. 1998). Tuttavia per quanto riguarda la vita emotiva, la nostra biologia non ci impone necessariamente un destino già determinato e vincolato dalla configurazione emotiva temperamentale, ma può essere modificata dall’esperienza e quindi anche un bambino timido crescendo può diventare un adulto più sicuro di sé. Per esempio la psicoterapia mostra in che modo l’esperienza possa modificare le inclinazioni emotive innate e forgiare il cervello, come un rimedio per ciò che in precedenza è stato alterato o completamente trascurato.

Infatti il bambino riceve alcuni degli insegnamenti emozionali più significativi dai genitori, per cui è importante fare tutto ciò che è in nostro potere per prevenire quel bisogni, dando ai bambini tutta la guida e gli insegnamenti necessari per coltivare fin dall’inizio le loro abilità emozionali essenziali e funzionali per affrontare il mondo. Quando l’incontro del bambino con l’incertezza avviene sotto la guida di genitori che, per quanto affettuosi, non si precipitano a prendere in braccio il figlio e a consolarlo a ogni minimo turbamento, il bambino gradualmente impara a controllare da sé queste situazioni. La strategia protettiva eccessivamente pervasiva delle madri fallisce perché privano i bambini timidi dell’opportunità di imparare a calmarsi di fronte a ciò che non è familiare e impedendo loro di acquisire quindi un certo controllo sulle proprie paure. Tuttavia nell’arco dell’infanzia alcuni bambini timidi possono diventare via via più spavaldi, in quanto l’esperienza continua a plasmare e riplasmare il loro repertorio comportamentale e sistema di convinzioni.

Per quanto riguarda gli indicatori fisiologici e i comportamenti manifestati dalle persone timide, sono molto spesso un arrossimento del viso, per “comunicare” agli altri la difficoltà (non mi mettere in difficoltà o peggio ancora non mi aggredire a livello verbale o relazionale…). Un eloquio traballante e tremolante, una postura insicura e uno sguardo basso per non correre il rischio di essere valutato negativamente dagli altri. Questi segnali comunicativi di tipo linguistico e meta linguistico non verbale, sono l’espressione consapevole e non, di voler mostrare i propri sentimenti e il proprio stato emotivo di imbarazzo e vergogna. La persona timida tende ad avere un arausal alto (una soglia base della propria attività mentale corrispondente alla vigilanza nei confronti dell’ambiente e del proprio stato fisico e/o mentale), probabilmente causato dalla percezione e dall’immagine che ha di sé, di vedersi e sentirsi frequentemente inadeguato e incapace ad affrontare le situazioni quotidiane, soprattuto a livello interpersonale e sociale, con emozioni e sentimenti corrispondenti molto spesso alla mancanza di fiducia nelle proprie capacità relazionali. Ad esempio un adolescente timido può non riuscire a godere della compagnia degli altri, perchè prevede che nessuno può essere interessato a lui per come è e che se gli altri vedono chi è lui veramente, lo scoprono vulnerabile e tenderanno a sottometterlo, deridendolo ed escludendolo dal gruppo.

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