Nelle convinzioni di efficacia e autostima si ritrova tutto ciò che la persona ha appreso dalla sua esperienza personale facendone tesoro, e da esse in larga parte deriva la capacità attuale di confronto con la realtà. L’autostima e la fiducia di Sé può essere definita come attesa di reazioni fruttuose, superamento d’ostacoli e manifestazione di un senso generale di controllo di Sé e dell’ambiente, quindi rappresenta un aspetto globale della personalità e la credenza nucleare che la persona ha di sé sottostante al perseguimento dei desideri, in altre parole una rappresentazione e/o autoimmagine che ha di sé e del proprio valore globale come persona. La capacità di interagire efficacemente con l’ambiente e percepirsi autoefficacie, può influenzare l’autostima quando non è sufficientemente forte, oscillando repentinamente verso poli estremi. Infatti la fiducia in sé stessi non deriva solo da un patrimonio di conoscenze ed abilità, ma soprattutto va coltivata lavorando sul proprio valore personale e sulla consapevolezza di saper dominare e valorizzare le proprie abilità e dalla effettiva capacità di impiegarle nel modo migliore nelle diverse circostanze.
Autoefficacia
Come l’autostima anche l’autoefficacia non è assolutamente innata ma il risultato di cause precise. Di queste, due sono quelle principali. La prima si fonda sui risultati che la persona generalmente ottiene. Se essi saranno prevalentemente positivi (successo), l’autoefficacia sarà a sua volta positiva. Succederà il contrario qualora le conseguenze delle nostre azioni siano negative. La seconda fonte, che favorisce l’apprendimento dell’autoefficacia e l’aumento dell’autostima, è l’osservazione di modelli sociali importanti per la persona (genitori, amici, colleghi di lavoro ecc). Se questi mostreranno coi loro comportamenti ed il loro impegno di raggiungere le mete da essi prescelte, c’indicheranno che è possibile fissarci degli obiettivi e raggiungerli. Cosa ancor più importante, c’indicheranno la strada da percorrere. Naturalmente il modello c’influenzerà tanto di più, quanto più elevata sarà la somiglianza con la persona osservatrice.
Le persone con un modesto senso di efficacia personale e autostima:
- evitano di esporsi a situazioni nuove e costellate di difficoltà perché vissute come minacce,
- mettono scarso impegno nel conseguimento di obiettivi sempre più difficili,
- indugiano sugli ostacoli che si presentano inevitabilmente,
- si ripiegano su se stesse ed indulgono in ruminazioni più che orientarsi alla soluzione dei problemi quando sperimentano un fallimento,
- si tirano fuori dalle responsabilità,
- sottostimano le nuove opportunità ed esasperano le difficoltà,
- si rendono in definitiva più vulnerabili allo stress e rallentando lo sforzo,
- il fallimento indebolisce a sua volta ed ulteriormente il proprio senso di efficacia richiamando l’attenzione sulle proprie incapacità ed attivando un circolo vizioso.
Le persone con un elevato senso di autoefficacia:
- affrontano il cambiamento come una sfida per mettersi alla prova,
- cercano di realizzare attraverso di esso le proprie aspirazioni,
- interpretano le tensioni legate all’incertezza come emozioni che attivano e rendono più pronti all’azione, piuttosto che lasciarsi sopraffare dall’ansia,
chiedono spiegazioni ed approfondimenti per padroneggiare meglio le situazioni, mantenendo un forte impegno per conseguire le nuove prove, - il fallimento le spinge a cercare di rimediare o di compensare piuttosto che a giustificare le proprie insufficienze, stimolando la risoluzione dei problemi e l’impiego ottimale delle proprie abilità e risorse,
- si presenta così la possibilità di accrescere e consolidare le convinzioni di efficacia, aiutando la persona a padroneggiare situazioni specifiche, ad esempio quelle incerte o in continua trasformazione.
Le rovine dell’autostima nello sport
In attività sportive agonistiche e competitive, la tacita convinzione di dover fare di tutto per soddisfare standard interiorizzati di comportamento e di prestazione altissimi, in genere per evitare di essere criticati e fallire, implica la sensazione di “essere sotto pressione” o di difficoltà nel rallentare il proprio ritmo di funzionamento; oltre a ciò, comporta ipercriticismo verso se stessi e gli altri. A causa di ciò, l’atleta può produrre una mancanza significativa di piacere, tranquillità, salute, autostima, senso di realizzazione e di relazioni soddisfacenti.
La rigidità di questi standard si manifesta, solitamente, attraverso:
- perfezionismo, esagerata attenzione ai dettagli o svalutazione di una prestazione positiva se paragonata alla media;
- regole rigide e “doveri” che influenzano molte aree di vita e comprendono precetti morali, etici, culturali o religiosi tanto elevati da essere impraticabili;
- preoccupazioni relative al tempo e all’efficienza, allo scopo di riuscire a portare a termine anche altri obiettivi sportivi. Nel caso in cui questi obiettivi non vengano raggiunti, è altamente probabile che l’atleta inizi un processo inverso, tenda, cioè a credere meno a stesso, ad evitare di affrontare sfide più o meno importanti, a vivere situazioni di stress nocivo, il quale comporterà inevitabilmente una perdita di autostima e autoefficacia.
A partire dall’idea di valere poco, il tema centrale è che l’ambiente interpersonale e sociale, sia a livello agonistico che dilettantistico, si accorgerà dei nostri difetti e ci criticheranno, derideranno e a causa di questo, probabilmente ci escluderanno o rifiuteranno. Le emozioni dominanti sono vergogna, imbarazzo, ansia da prestazione. L’autostima è bassa, il senso di efficacia personale è minimo. La tendenza all’azione dominante è sfuggire e rinunciare al perseguimento degli obiettivi, dalle relazioni e dall’ambiente sportivo. Lo stato corporeo è di intensa attivazione, allarme diffuso, irrequietezza.